domenica 28 settembre 2014

Cischecca cotta di nutella e ricotta

- Allora, su, la Cheesecake...
- Ehm... la cischecca può essere sia fredda... che cotta...
- Mh, sii più preciso, Leppagorre, qui devi imparare le cose per bene, mica puoi sempre e solo ingozzarti a tuo piacimento. E a mio detrimento, aggiungo.
- Allora... La cischecca fredda è quella che si mette in frigorifero...
- Bene, e cosa si usa per "tenerla su"? Quale ingrediente?
- ...
- La ge... la ge...
- La gentilezza!
- Non certo la tua, visto che ne sei cronicamente sprovvisto! No, la gelatina! Formaggio morbido, aroma a piacere e la gelatina! Allora non hai studiato!
- Ho studiato, invece! Sono stato tutto ieri sui libri e sulle tue dispense!
- No, veramente sei stato in una sola dispensa, quella della cucina. E infatti la nutella è miracolosamente evaporata. Che prodigio della natura, eh?
- Davvero stupefacente! Non mi spiego davvero come possa essere accaduto...
- Io sì, invece, e lo scoprirò quando non mi entreranno più i pantaloni, maledetto gattodemone dei miei stivali e senza stivali!
- Uffa!... Avevi detto che mi avresti insegnato qualcosa e invece stai continuamente a far polemiche. Io sono un'anima in crescita, bisognosa di nozioni nuove e di esperienze vergini!...
- Mi sa tanto che tu hai bisogno di ingollare cibo senza se e senza ma, e tramite il mio apparato digerente per giunta. Del resto poco ti frega!
- No, guarda, te ne do subito la prova: la cischecca cotta è quella che si mette in forno.
- ... e poi?
- Poi? E che ne so io? Andrà cucinata come tutte le torte, questo mica c'era sul programma!
- C'era, c'era. Allora, tanto per chiarire, tu hai un dolce al cucchiaio a base di formaggio morbido, ci siamo?
- Sì, for...mag...gio mor... bi...
- No, non c'è bisogno che prendi appunti, ascoltami un minuto, se ci riesci.
- È difficile, sei così noioso...
- Allora... Formaggio morbido e aroma, che sia frutta, cioccolato, spezie, fai tu. Come lo tieni in forma?
- Facendolo correre tutte le mattine a Villa De Sanctis, magari assieme ai pugili o ai senegalli, no?
- Ti faccio correre io, a te, altro che pugili e senegalesi! Dov'è l'anice? Dove?
- No, no, fermo, fermo! Giuro che sto zitto! Giuro!
- Sulla testa di zia Bastet?
- Sulla testa di zia Bastet...
- E non incrociare la coda, ti ho visto!
- Insomma? Formaggio morbido, e poi?
- Allora, sì, fammi riprendere il filo... Base di biscotti tritati e burro. Corpo di formaggio morbido e, sopra, eventuale glassatura. In quella senza cottura, quella "fredda" come la chiami tu, l'agente addensante è la gelatina. Ci siamo?
- ... tina... Sì.
- Sì, Tina Pica! E non scrivere, non serve, su. Per quella cotta, in forno, invece, cosa la potrebbe rassodare?
- Del silicone? Fa miracoli, ho visto.
- Le uova, malefico, le uova! Ma tu vuoi farmi uscir pazzo, oggi? Guarda che ti rimando a settembre, eh?
- Ma settembre è finito, casomai a ottobre!
- Ci rinuncio, ci rinuncio! Io con te esco pazzo!
- Dài, non agitarti che alla tua età ti salta una coronata e tanti saluti, e poi a me tocca andare a trovare in fretta e in furia un'altra sistemazione!
- Come devo fare io con te, eh? Dimmelo tu.
- Be', almeno potremmo fare come dice l'adagio cinese: "Se ascolto dimentico, se guardo imparo, se faccio capisco”. Quindi, facciamoci una cischecca e tanti saluti! Non hai una formina di ricotta in frigo?
- Sì ma che ci mettiamo assieme? Dimmi che è avanzata della nutella...
- Ehm... sì, ma non so quant'è...
- Maledetto, ti faccio correre io nel parco, e ti travesto da sacco, che non mi ci vuole molto, così ti faccio anche prendere a pugni dai pugili. Dico loro che il Comune di Roma ha messo nuovi attrezzi per fare esercizi ginnici e via!
- Cattivo!
- Bestia!

Cischecca cotta di nutella e ricotta
150 g biscotti secchi ai cereali
100 g burro
30 g   zenzero candito, o mezzo cucchiaino di zenzero in polvere
450 g ricotta
200 g nutella
1        uovo
1        tuorlo
100 ml panna (anche da cucina)
1 cucchiaio di liquore all'arancia (Cointreau) o anche no (Strega)
una punta di cannella
Preparare la base: tritare i biscotti - che tradizionalmente sono quelli Digestive, ma vanno benissimo anche quelli ai cereali, e di qualsiasi marca - e mescolarli al burro fuso.
Se si usa lo zenzero candito tritarlo assieme ai biscotti, altrimenti aggiungere direttamente la spezia.
Foderare il fondo di una teglia da 24 cm con il composto e farlo riposare in frigo il tempo necessario alla preparazione del "corpo".
Lavorare la ricotta con una forchetta, aggiungere la nutella, le uova, la panna e il liquore.
Poca, pochissima cannella: un'ombra.
Versare nello stampo e cuocere a 180° per 30-40 minuti.
Si riconoscerà l'avvenuta cottura quando le uova faranno crescere la torta, gonfiandola anche oltre il bordo dello stampo, come un sufflé.
A quel punto verificare con lo stecchino che all'interno sia asciutta, quindi spegnere il forno e far raffreddare la cischecca.
Personalmente la preferisco senza troppi fronzoli, ma se si vuole si può aggiungere una glassatura di salsa al cioccolato.
O anche grattugiarvi sopra del cioccolato bianco (ne basta mezza tavoletta, 50 g ca.)


- Facciamo pace, vieni qui. Ora, visto che ti ho trattato da scolaretto ti faccio una bella fotina, di quelle che facevano a noi scolari ad ogni inizio anno.
- Ma sei sicuro che debba indossare questo... coso?
- Come no, metti su, dài, muoviti.
- Posso almeno mettere un fiocchetto, qualcosa?...
- E metti il fioccchetto... Poi sono io, eh?
- Adesso sì. Cominciamo?
- Via!


Detto romano del giorno
L'apparenza è come er tammuro, drento è vòto e fà rumore.

L'apparenza è come il tamburo: dentro è vuoto e fa rumore.


Oggi ascoltiamo
Creedence Clearwater Revival - Have You Ever Seen The Rain

https://www.youtube.com/watch?v=Ou7P0QX25IY

Farcia di castagne

Son tornate, finalmente!
Come "cosa", ma le castagne, no?
Il "pane dei poveracci", come si diceva una volta, quando eravamo più sinceramente più modesti e più dignitosamente umili.
Stanno bene su tutto, altro che la giacca nera o il tubino Chanel: nel pane, con gli arrosti, su una crostata, in un Monte Bianco...
Insomma, saranno anche rognose da cucinare, ma danno sempre soddisfazione.
Sono semplici, non pretendono, hanno la stessa generosità delle persone che hanno da dare solo se stesse.
Hai detto niente...
Questa volta propongo una farcia che lessi anni fa su qualche rivista, che sinceramente non saprei nemmeno ritrovare, ma l'importante è (ri)proporre qualcosa di buono.

Farcia di castagne
300 g   castagne
90 g     zucchero
2          tuorli
125 g    burro pomata
150 g    cioccolato fondente
50 ml    latte
2 cucchiai di rhum
Lessare le castagne per 10-15 minuti.
In alternativa si può utilizzare anche il microonde, che le lascia anche più asciutte, disponendole su un piatto previa incisione (se non si vogliono creare proiettili micidiali...) e coperte da pellicola trasparente (di quella idonea all'uso nel microonde, ovviamente) bucherellata con uno stuzzicadenti. Due sessioni da 5 minuti a potenza media dovrebbero bastare.
Pelarle e passarle al setaccio, unirvi il latte e un cucchiaio di zucchero e cuocere il tutto per 5 minuti, sempre mescolando.
Lavorare i tuorli con lo zucchero, unirvi il cioccolato fuso, e 2 cucchiai di rhum.
A parte lavorare a crema il burro, unirvi la crema di castagne e la crema al cioccolato.
Far riposare in frigo un'oretta prima di utilizzare.
È ottima per farcire Pandispagna, torte margherita e chi più ne ha più ne metta.


La dose permette due strati di farcia ed è sufficiente anche per la copertura.


Queste sono foto di repertorio, lo confesso, ma se le ho conservate segno è che ne valeva la pena.
Non tanto per il ricordo che evocano in me - una vita fa, almeno, e passata senza alcun rimpianto... - quanto per mostrare il risultato ottenuto.
Semplice, senza grosse pretese, anche umile se vogliamo, come solo la castagna sa essere.

Detto romano del giorno
Li mejo bocconi sò der còco.

Oggi ascoltiamo
Gnarls Barkley - Crazy

https://www.youtube.com/watch?v=bd2B6SjMh_w

venerdì 12 settembre 2014

Amaretti sospirati

La prima volta si sono spatasciati miseramente diventando dei dischi cristallizzati che avrei voluto usare come orecchini, se solo avessi avuto i buchi ad entrambi i lobi, o anche come disco dilatatore labiale del genere che usano le giovani Surma o Mursi africane, se non avessi già da tempo passato l'età del pulsellaggio e mi avvicini invece verso l'inesorabile Valle delle Ombre...


La seconda sembravano grumi di cera smoccolata e sedimentata da decenni di messe funebri.
Avevano solo la parvenza di una forma, anziché la classica, rassicurante semisfericità tipica del biscotto...

La terza ci ho giocato a freesbee per il salotto, rompendo due ninnoli de pora mamma e spaventando un
passante, che s'è visto atterrare davanti ai piedi un disco (non)volante di rara bruttezza in tutto il Cosmo conosciuto...

Insomma, questo è uno di quei casi in cui avrei davvero gettato la spugna, accompagnata da annesso bestemmione da camallo ligure, soprattutto dopo la vista di numerosi filmati sulla rete dove delle giulive signore ed aggraziate (!) giovinotte ci tenevano a mostrare tutte le fasi della lavorazione dei loro meravigliosi, saporitissimi e, soprattutto, facilisssimi amaretti.
Come ci tenevano, infine, a far vedere come fossero venuti bene!
Dei veri amaretti, eh? mica cavoli!
Le avrei soffocate con le mie mani, altro che, strozzandole con manciate dei loro preziosi, deliziosi, perfetti manicaretti, le maledette!...

Poi ci si è messo anche, tanto perché la confusione non era già abbastanza, anche il mio amato e venerato Pellegrino "baffone" Artusi. Che di ricette ne propone ben due.

626. Amaretti I
Zucchero bianco in polvere, grammi 250.
Mandorle dolci, grammi 100.
Mandorle amare, grammi 50.
Chiare d'uovo, n. 2.
Le mandorle spellatele e seccatele al sole o al fuoco, poi tritatele finissime con la lunetta. Lavorate col
mestolo lo zucchero e le chiare per mezz'ora almeno, e aggiungete le mandorle per formarne una pasta
soda in modo da farne delle pallottole grosse quanto una piccola noce; se riuscisse troppo morbida
aggiungete altro zucchero e se troppo dura un'altra po' di chiara, questa volta montata. Se vi piacesse dare agli amaretti un colore tendente al bruno, mescolate nel composto un po' di zucchero bruciato.
Via via che formate le dette pallottole, che stiaccerete alla grossezza di un centimetro, ponetele sopra le
ostie, o sopra pezzetti di carta, oppure in una teglia unta col burro e spolverizzata di metà farina e metà
zucchero a velo; ma a una discreta distanza l'una dall'altra perché si allargano molto e gonfiano, restando
vuote all'interno.
Cuocete in forno a moderato calore.

627. Amaretti II
Eccovi un'altra ricetta di amaretti che giudico migliori dei precedenti e di più facile esecuzione.
Zucchero bianco a velo, grammi 300.
Mandorle dolci, grammi 180.
Mandorle amare, grammi 20.
Chiare d'uovo, n. 2.
Le mandorle spellatele e seccatele al sole o al fuoco; poi pestatele fini nel mortaio con una chiara versata in più volte. Fatto questo mescolateci la metà dello zucchero, mantrugiando il composto con una mano. Dopo versatelo in un vaso e, mantrugiando sempre perché s'incorpori, aggiungete una mezza chiara, poi l'altra metà dello zucchero e appresso l'ultima mezza chiara.
Otterrete, così lavorato, un impasto omogeneo e di giusta consistenza che potrete foggiare a bastone per
tagliarlo a pezzetti tutti eguali. Prendeteli su a uno a uno con le mani bagnate alquanto per formarne delle
pallottole grosse come le noci. Stiacciatele alla grossezza di un centimetro e pel resto regolatevi come per i precedenti, ma spolverizzateli leggermente di zucchero a velo prima di metterli in forno a calore ardente, e dico forno perché il forno da campagna non sarebbe al caso per questa pasta.
Con questa dose otterrete una trentina di amaretti.

Non che mi abbia chiarito le idee, il Maestro. Anzi...
Non capivo il PERCHÉ.
Perché? In cosa sbaglio?
Mi parevo il personaggio di Nanni Moretti, l'annaffiatoio in mano di fronte alla pianta stenterella e il suo estenuato: "Vuoi più luce? più sole? Che vuoi? Dimmelo!"
Poi mi son detto: "Ma possibile che non vengano? Mettiamoci un po' a tavolino!"
Come al mio solito mi sono smazzato e messo in tabella una ventina di ricette in tutte le loro varianti, dalle quali ho dedotto che:
- le quantità di zucchero e di mandorle tritate si equivalgono (quasi) sempre;
- tale quantità è (generalmente) circa tre volte il peso dell'albume. Ma anche qui vige il caos più totale, l'anarchia più incontrollata, la bolgia ctonia senza fine: tale quantità varia da 75 a 150 g per albume (che sappiamo già a menadito pesare, mediamente, i suoi benedetti 35 g);
- l'impasto va fatto riposare (chi lo fa 20 minuti chi 4 ore, comunque...) perché deve risultare abbastanza asciutto da essere facilmente lavorabile;
- le mandorle amare (o le armelline, ovvero i semi delle albicocche) vanno in proporzione da 70:30 a 95:5 per ogni 100 g totale di mandorle dolci.

Che confusione!
"Sarà perché ti amo?"
No, di sicuro ti odio a morte, maledetto caos primordiale da cui ognuno tira fuori, dal suo sorridente forno bollente la sua placca cosparsa interamente da quelle belle "sisette" screpolate che non avrebbero nemmeno le mummie del British Museum!
Uff!
Ma visto che son tignoso, come diciamo spesso qui, mi sono messo a piedi pari (ovvero ben comodo e di punta, come ci si sistema a tavolino) e ne ho ricavato i miei:

Amaretti
Per ogni albume, che pesa mediamente 35 g ca. :
100 g    zucchero (o zucchero a velo)
100 g    mandorle (anche non pelate)
30 g di mandorle amare, o armelline, o anche dell'essenza di mandorla amara. O anche niente, tiè!
buccia di limone grattugiato (un terzo del frutto).
Macinare le mandorle dolci e amare con un macinino oppure con un tritatutto, ma in tal caso occorre aggiungere un paio di cucchiai di zucchero per evitare la macinazione estragga l'olio dalle mandorle rendendo la farina pastosa e, quindi, inutilizzabile.
Non dovrà essere eccessivamente fine ma, anzi, leggermente granulosa.
In una ciotola versare la farina di mandorle, lo zucchero e la buccia grattugiata di limone.
Aggiungere poco alla volta gli albumi d'uova, leggermente sbattuti.
In molte ricette, anche in Rete, compare la dicitura "albumi montati a neve fermissima", che è un controsenso, visto che poi li si dovrà "mantrugiare", come direbbe er sor Pellegrino, con il resto degli ingredienti.
Amalgamate il tutto fino a ottenere un composto lavorabile.
È quindi consigliabile di versare l'albume d'uovo poco alla volta fino a raggiungere la giusta consistenza.
Non si sa mai...
Foderate le teglie (ne servirà una per ogni dose di albume) con carta da forno.
Stendere un serpente di pasta e ricavare delle palline poco più grandi di una noce, e rotolarle quindi nello zucchero (o anche nello zucchero a velo).


Disporre le palline sulla teglia distanziandole, senza schiacciarle, cosa che avverrà da sé in cottura.


Qui c'è la questione riposo: alcune ricette dicono di far riposare l'impasto venti minuti almeno prima di preparare le palline, altri di far riposare le palline sulla teglia dalle due alle ventiquattro ore...
A quanto pare il fatto è che non conta "quanto" tempo infine riposi l'impasto (il sor Pellegrino le schiaffa in forno e via), ma che asciughi quel tanto da perdere l'umidità in eccesso.
Volendo si possono decorare con una mandorla intera o mezza ciliegia candita.
Cuocere a 180 gradi per circa venti minuti.


Il fondo degli amaretti deve dorarsi ma non risultare bruciato.

Ora, che dovrei fare io, con finalmente un piattino dei "miei" amaretti?


Bravi, piangere come un vitello.
Anzi, come un padre che veda finalmente venire alla luce le sue deliziose, dolcissime e sospirate creature.
Quindi asciugarsi con dignità, o quel che ne resta, il bordo dell'occhio, e riporle con amorevole cura in una scatola di latta.


Si dice così, ma solo per scrupolo, ben sapendo che avranno vita breve.
Breverrima, direbbe Leppagorre.

Detto romano del giorno
Fà come l'antichi, che se magnaveno le cocce e buttaveno li fichi.

Cioè, non ci capivano niente…


Oggi ascoltiamo
Elton John - Believe

https://www.youtube.com/watch?v=ABSXJiYQFuI

domenica 7 settembre 2014

Spaghetti al cacao

- Volevo un gatto nero, nero, neeero. Tu me l’hai dato bianco, e io non ci sto piùùù!
- Ma che ti canti, Leppagorre, sei contento?
- Sì, sì e sììì!
- Meno male va, ci manca solo che mi stai sul duodeno col malumore e poi ho fatto tombola.
- Sono contento perché ho visto che hai tirato fuori la pasta dopo una settimana che nemmeno ti cucini un uovo al tegamino, e mi pare, come dire, un buon segno.
- Ho avuto... ehm... un momento di defaillance...
- Sì, sì, lo so che sei un po’ deficiente, ma ti voglio bene lo stesso.
- E la tua cafoneria è pari solo al tuo peso specifico, nevvero?
- Oh, se voglio so farmi piccolo, lo sai, no? Quindi... Non ti pare ora di inaugurare la pentola nuova?


- Nuova? ma se avrà settant’anni, a dir poco. C’è da dire che la signora della bancarella non sapeva cosa mi stava vendendo, altrimenti avrebbe quadruplicato il prezzo.
- Un prezzo da quadrupede? Che strano...
- Smettila, mi fai venir freddo, e poi mi passa la fantasia di cucinare.
- No, no, non sia mai! Anzi... ma dopo gli spaghetti al caffè non volevi provare mica quelli al cacao?
- Però... Vedi che quando ti impegni riesci a non mettermi il bastone tra le ruote?
- E cosa sei, una carriola?
- No, tuo nonno, in carriola! Prendi l’uvetta, va.
- Comandi!

Dopo gli spaghetti al caffè non potevano mancare quelli al cacao, ha ragione Leppagorre – E anche Herman Hesse quando scrisse che “Anche un orologio rotto segna l’ora giusta due volte al giorno”...
Quindi, direttamente dal libro di Tonino Franchini, “Estro e fantasia in cucina” i suoi gustosi e delicatissimi

Spaghetti al cacao
(per due persone, o una con gattodemone incorporato)
200 g  spaghetti
30 g    burro
50 g    mascarpone
½ cucchiaio di cacao
20 g    uvetta sultanina
20 g    cedro candito
pochissima cannella in polvere
1 tuorlo
Far ammollare in acqua tiepida l’uvetta.
In un tegame far fondere a fuoco bassissimissimo il burro assieme al mascarpone.
Unire l’uvetta, il cacao, il cedro candito a dadini minuti e la cannella.
Portare a bollore, quindi fuori fuoco unire il tuorlo sbattuto a parte.
Condire gli spaghetti con questa “salsa dolce e profumata” – parole dello chef Franchini – e divorare caldi caldi.


Confesso di non aver aggiunto il cedro candito, che mi sembrava troppo anche per me.
Ma il sapore del cacao (che di suo è neutro) assieme al mascarpone è mooolto interessante.
Anzi, visto che ci sto, propongo una mia versione - niente a che vedere con quella d'uno chef ufficiale, diciamo una versione da cialtrone, ecco - con tanto di cipolla (e te pareva!)

Spaghetti al cacao 2.0
(sempre per due persone o, benineso, una con gattodemone accluso)
200 g  spaghetti
30 g    burro
100 ml panna da cucina
½ cucchiaio di cacao
20 g    uvetta sultanina (una manciatina scarsa)
50 g ca. cipolla (una piccina picciò)
50-80 g prosciutto cotto, tagliato a fette quindi a quadrucci.
pochissima cannella in polvere
Far ammollare in acqua tiepida l’uvetta.
In un tegame far fondere a fuoco dolcissimissimo il burro, quindi unire la cipolla a pezzettini.
Far appassire, e dopo qualche minuto unire il prosciutto.
Cuocere fino a che la cipolla sia semitrasparente, quindi unire l’uvetta, la panna, il cacao e la cannella.
Portare a bollore, quindi condire gli spaghetti con questa “salsa dolce e profumata” - stavolta sono parole mie, eh?


Detto romano del giorno
A chi tocca nun se 'ngrugna.

A chi capita qualcosa di spiacevole non si deve crucciare, tanto…


Oggi ascoltiamo
Vincenza Pastorelli - Volevo un gatto nero (Gabry Ponte Remix)

Dal tango dello Zecchino d'Oro del 1969 alla techno dei tempi nostri... ohibó!

lunedì 1 settembre 2014

Gnocchi saraceni (o pizzoccherati)

- Allora, Leppagorre, che si fa per pranzo?
- Dunque, oggi è lunedì, quindi... gnocchi!
- Veramente si dice "giovedì gnocchi" come pure "sabato trippa", secondo il calendario culinario delle nostre nonne. Quelle umane, intendo (1).
- Le nostre nonne, invece - quelle gattodemoniesse, intendo - usavano gli gnocchi il lunedì, mentre di giovedì si usava gustare il "marfuxil".
- Che sarebbe? No, no, zitto, zitto! Meglio non indagare...
- Infatti. Non credo ti piacerebbe saperlo.
- Visto quello che mi costringi a mangiare ti credo sulla parola!
- Allora, gnocchi o no?
- Sì, ma non di patate, come al solito. Facciamoceli con la farina di grano saraceno.
- Lo sapevo: dici, dici, e poi eccoti accodato alle tutte le mode della cucina etnica. Adesso anche il grano saracino!
- Veramente si chiama "saraceno" perché non una pianta autoctona, insomma non è d'origine nostrale.
- Ah, capisco, quindi quello che non è auto-ctonio o maestrale veniva detto "saraceno".
- Ehm, sì, proprio così. Pensa che il tacchino, che viene dalle Americhe, si dice turkey, in lingua inglese, ma con la Turchia, nemmeno quella del Cinquecento, ha nulla a che fare.
- Tutto quello che veniva "da fuori" veniva dall'Oriente, secondo voi.
- All'epoca, devi capire, c'era tanta, ma tanta ignoranza. Allora, eh? Mica come oggi, che i persino i gatti, seppur demoni, sanno leggere. Erano cafoni, allora, sai. "Loro", quelli d'allora, dico.
- Eh sì, erano proprio cafoni...
- Pensa che il pesco, che è proveniente dalla Cina, arrivò da noi solo duemila anni fa attraverso la Persia, e il frutto è ancora chiamato così, a Roma: persica.
- Ah, ecco...
- Ma che fai... dormi?
- No, no, leggevo l'etichetta della farina di grano saraceno. Mica dormo, io!
- Non ti farebbe male, ogni tanto, sai?
- Allora, iniziamo?
- Ci vuoi del "marfuxil" come contorno?...
- Anche no, grazie!


Gnocchi saraceni (o pizzoccherati)
100 g    farina 00
50 g      farina di grano saraceno
1 cucchiaio di parmigiano
1 uovo (ma anche no, vedi più avanti)
In una terrina mescolare le due farine col parmigiano e l'uovo, o sufficiente acqua per ottenere un impasto omogeneo.
Pare che l'uovo nell'impasto degli gnocchi lo renda un po' troppo sodo, ma non ci giurerei: secondo me non è così rilevante.
Può darsi che l'effetto si verifichi solo con quelli di patate.
Dovrò indagare.
Lasciarlo riposare per un quarto d'ora minimo quindi stenderlo a salame, dal quale si ricaveranno tanti gnocchetti non troppo grandi (un dito... mio).


Preparare il condimento.
Si può utilizzare un sugo di pomodoro leggero, con la sola cipolla, o anche una salsa in bianco, del tipo:
50 g    speck
un cipollotto (o mezzo porro avanzato, triste e solo)
30 g    burro
salvia, sale e pepe q.b
Far rosolare nel burro lo speck tagliato a listelle, quindi toglierlo e mettere nel tegame il cipollotto (o il porro) tagliato a rondelle sottili.
Farlo appassire a fuoco dolcissimo, quindi aggiungere della salvia, sale e pepe q.b.
Cuocere gli gnocchi in abbondante acqua salata.
Scolarli e condirli con la cipollitudine preparata in precedenza.
E in cima, come sublime neve suina, lo speck rosolato.


- Quindi, fammi capire, domani: polpette...
- Sì, ma solo in caso si fosse preparato del brodo oggi, capisci?...
- Mhhh... Ma perché invece non la facciamo semplice e domani ci prepariamo una sleppa così di pizza bianca, ma del forno però, ché quella delle pizzerie a taglio è troppo unta e poi ci fa male...
- Che carino sei, ad interessarti!...
- ... con una bella imbottitura di porchetta, sia la parte grassa che quella magra, s'intende, e senza tralasciare una generosa fettina di crosta, abbrustolita come si deve, il tutto leggermente scaldato ma poco, visto che la porchetta non va scaldata troppo, anzi gli intenditori dicono che vada mangiata esclusivamente a temperatura ambiente, e magari vicino ci facciamo una fojetta (2) di vino bianco freddo freddo, magari un Frascati, o forse un cannellino più abboccato ma sempre ben gelato? O preferisci forse...
- Come ti si scioglie la lingua quando pensi al cibo, eh?
- È che gli gnocchi erano davvero pochi... miseri... pocherrimi!
- Crepa!

Detto romano del giorno
Salutà è cortesia, arisponne è obbrigo.

Salutare è cortesia, rispondere è un obbligo, a un saluto s'intende.


Oggi ascoltiamo
Willie Nelson - Crazy

https://www.youtube.com/watch?v=OnYEQbEHNZE

NOTE
1) A Roma, capitale dello Stato Pontificio, il calendario culinario seguiva passo passo quello liturgico: c'erano giorni in cui era consentita la carne - per chi se la poteva permettere, certo - e giorni "di magro", in cui la si sostituiva con pesce, uova e formaggi.
C'è da considerare poi che i giorni dedicati alla macellazione del bestiame erano il mercoledì, e il sabato, quindi - eccetto in periodo di Quaresima - la settimana gastronomica romana si svolgeva così:
lunedì         brodo e bollito;
martedì       polpette (con gli avanzi del bollito);
mercoledì   carne (per il popolino frattaglie e coda);
giovedì       gnocchi;
venerdì       pesce, spesso baccalà accompagnato da ceci oppure, in inverno, arzilla (ovvero la razza) con broccoli;
sabato        carne (anche qui, i tagli di maggior pregio erano riservate ai nobili e ai benestanti, mentre il popolo s'accontentava degli scarti, ossia del "quinto quarto": animelle, rognoni, pajata, trippa, coda e coratella)
domenica   carne e/o pasta.
2) Ricordo le unità di misura delle osterie romane:
Un tubbo = un litro
'na fojetta = mezzo litro
'n chirichetto = un quarto di litro.