giovedì 19 giugno 2014

Placenta semodiale

Chiamarla "torta" sarebbe davvero troppo, ma in effetti è la prima antenata delle moderne torte, anche se in realtà era una sorta di focaccia, che in greco antico veniva chiamata plakoys,  che in latino divenne poi placenta.


È quindi un piatto dolce di origine greca, importato probabilmente dai commercianti etruschi, e che veniva offerto agli ospiti ellenici in occasione di banchetti.
E visto che ce piace tanto de chiacchierà ma anche di provare cose vecchie e nuove, ogni tanto un saltino nel passato non fa male. Anzi.
Fa bene capire innanzitutto di quali elementi fosse composto il gusto alimentare di una cultura così lontana, e di quali cibi e combinazioni si facesse uso in un tempo in cui non esistevano alimenti che oggi sono così usuali nelle nostre cucine (lo zucchero, tanto per dirne una).
E, ancora, fa capire come allora il senso del dolce era riservato al miele e ai fichi, e che bastava davvero poco per far festa, visto che il piatto forte era, e rimase per tantissimo tempo, la carne.
Altro che cake design...

Questa ricetta viene direttamente dal libro LXXVI De agricultura di Marcus Porcius Cato, alias Catone.
Certo, qui non parla il gaudente Apicio, ma un politico, un moralizzatore, un austero fustigatore di costumi a suo vedere troppo disinvolti.
Uno che s'oppose sempre all'ellenizzazione della cultura romana, esaltando la semplice sobrietà e la severità dei costumi latini contro la mollezza degli usi greci.
Ed era così avverso alla cultura greca da sprezzare anche la categoria dei medici, che in gran parte venivano dall'Ellade.
Diciamo pure che fu fortunato a superare senza troppi acciacchi gli ottant'anni...
Era uno che al Senato soleva ripetere Ceterum censeo Carthaginem esse delendam, ovvero "... e comunque penso che Cartagine debba essere distrutta".
Hai voglia a ripetergli che si stava discutendo di fognature o d'acquedotti. Macché, quando uno è fissato... Era un duro, mica mammole.
Un roscio malpelo, avrebbe detto er poro Verga, che non ne faceva passare una. Un rompicoglioni, insomma.
E comunque, con l'intento di lodare la salubrità e la semplicità della vita rustica nostrale diede mano a un'opera che testimonia più d'ogni altra le condizioni di vita della cultura latina del II secolo prima dell'Era Volgare.
Ed è grazie alla sua smania di incensare la buona vita contadina (1) che ci sono arrivate alcune ricette dell'epoca.
Ovvio che, in stile con l'austera semplicità del Censore, non dobbiamo aspettarci qualcosa di troppo lussurioso, e che quindi di fronte a questa ricetta ci si chiuda in un deluso "Embè?"
Ma la curiosità non deve mai venir meno, anche per le cose che a prima vista sembrano poco appetibili o poco interessanti.
E non parlo di cucina, eh?

Catone riporta così la ricetta della Placenta:

LXXVI.
Placentam sic facito. Farinae siligineae L. II, unde solum facias, in tracta farinae L. IIII et alicae primae L. II. Alicam in aquam infundito. Ubi bene mollis erit, in mortarium purum indito siccatoque bene. Deinde manibus depsito. Ubi bene subactum erit, farinae L. IIII paulatim addito. Id utrumque tracta facito. In qualo, ubi arescant, conponito. Ubi arebunt, conponito puriter. Cum facies singula tracta, ubi depsueris, panno oleo uncto tangito et circumtergeto ungitoque. Ubi tracta erunt, focum, ubi coquas, calfacito bene et testum. Postea farinae L. II conspargito condepsitoque. Inde facito solum tenue. Casei ovilli P: XIIII ne acidum et bene recens in aquam indito. Ibi macerato, aquam ter mutato. Inde eximito siccatoque bene paulatim manibus, siccum bene in mortarium inponito. Ubi omne caseum bene siccaveris, in mortarium purum manibus condepsito conminuitoque quam maxime. Deinde cribrum farinarium purum sumito caseumque per cribrum facito transeat in mortarium. Postea indito mellis boni P. IIII S. Id una bene conmisceto cum caseo. Postea in tabula pura, quae pateat P. I, ibi balteum ponito, folia laurea uncta supponito, placentam fingito. Tracta singula in totum solum primum ponito, deinde de mortario tracta linito, tracta addito singulatim, item linito usque adeo, donec omne caseum cum melle abusus eris. In summum tracta singula indito, postea solum contrahito ornatoque focum + de ve primo + temperatoque, tunc placentam inponito, testo caldo operito, pruna insuper et circum operito. Aperito, dum inspicias, bis aut ter. Ubi cocta erit, eximito et melle unguito. Haec erit placenta semodialis.

Fai così la placenta. Due libbre (650 g. ca.) di farina di grano per fare la crosta (solum); per fare le tratte (2) 4 libbre (kg. 1, 300) di farina e 2 libbre (650 g.) di farina di grano duro (alica prima).
Versa la farina di grano duro nell’acqua; quando si sarà ammollata, mettila in un mortaio pulito e falla asciugare bene. Poi impastala con le mani. Quando si sarà impastata bene, aggiungi un po’ per volta tutta la farina. Con entrambe le farine fai le tratte. Mettile su un graticcio per farle asciugare. Quando saranno asciutte modellale bene. Quando fai le tratte una ad una, dopo averle modellate, ungile tutt’intorno con un panno impregnato d’olio. Quando le tratte sono pronte, riscalda il focolare dove le cuocerai e il forno portatile. Quindi bagna le 2 libbre di farina di grano duro e impastale, fanne una sfoglia sottile. Metti in acqua 14 libbre (kg. 4,600) di formaggio fresco di pecora (ricotta) che non sia acido e sia stato appena fatto; maceralo e cambia l’acqua tre volte. Quindi scolalo, e fallo asciugare per bene un po’ per volta strizzandolo con le mani, e quando sarà ben asciutto mettilo in un mortaio. Quando avrai asciugato bene tutto il formaggio, lavoralo con le mani in un mortaio pulito e sminuzzalo il più possibile. Quindi prendi un setaccio per farina pulito e fai passare il formaggio per il setaccio e riversalo nel mortaio. Dopo di che prendi 4,5 libbre (1,5 kg) di miele di buona qualità e mescolalo bene con il formaggio. Dopo di che prendi una tavoletta pulita larga 1 piede (ca. 30 cm), mettici una fascia intorno, sistema sul fondo delle foglie d’alloro unte d’olio e modella la placenta. Per prima metti sul fondo la sfoglia e le singole tratte, poi dal mortaio spalma il composto di miele e formaggio sulle tratte, e aggiungile una ad una spalmandole finché non avrai finito tutto il formaggio mielato.
Per ultime metti le tratte, poi chiudi la sfoglia e decora, regola il fuoco e mettici la placenta sopra , coprila con il fornetto ben caldo, mettici intorno e sopra la brace. Fai attenzione che cuocia bene e lentamente, e apri due o tre volte per controllare. Quando sarà cotta, estraila e ungila con miele.
Questa è la placenta semodiale.

Così la ripresenta Eugenia Salza Prina Ricotti (3)

Placenta
Ingredienti per 12 persone:
250 gr. di farina
Acqua q.b.
1 pizzico di sale   
5 sfoglie cotte al forno 
300 gr. di ricotta
250 gr. di miele
Fare una sfoglia sottile con farina ed acqua. Sciogliere la ricotta e mischiarla con il miele.
Coprire una piastra per il forno con le foglie d'alloro unte d'olio, stenderci sopra la sfoglia di farina ed acqua facendola penzolare e mettere sopra, al centro, una delle sfoglie di semola.
Coprire con uno strato di ricotta e continuare alternando sfoglie e ripieno fino ad esaurimento.
Ripiegare la sfoglia esterna e saldarla al centro. Ungere il dolce e metterlo in forno a 160 gradi per almeno mezz'ora. Sfornarlo quando sarà ben dorato e bagnarlo abbondantemente con il miele.

Volendo le foglie di semola possono essere confezionate: in questo caso bisogna impastare acqua e semola di grano duro, dividere tutto in 5 parti che si stenderanno come lasagne, facendole prima seccare e poi, unte d'olio, passate al forno.
Più semplice è munirsi di sfoglie di pane sardo.

Potevo forse esimermi dal farla?
Toh, ho giusto del pane carasau in dispensa. Che combinazione...
E il miele? Quello non manca mai.


A conti fatti l'"Embè?" è di rigore come l'abito scuro in una serata di gala.
Ma prevedibile, come un qualsiasi censore...

Detto latino del giorno
Exigua his tribuenda fides, qui multa loquuntur

Bisogna prestare poca fede a quelli che parlano molto.
Catone (manco a dirlo...)

Oggi ascoltiamo
Lisa Gerrard - Sacrifice

https://www.youtube.com/watch?v=j6DZsEQ82lE

NOTE
1) Nella prefazione di De agricoltura scriveva infatti: Virum bonum quom laudabant, ita laudabant: bonum agricolam bonumque colonum; amplissime laudari existimabatur qui ita laudabatur. Mercatorem autem strenuum studiosumque rei quaerendae existimo, verum, ut supra dixi, periculosum et calamitosum. At ex agricolis et viri fortissimi et milites strenuissimi gignuntur, maximeque pius quaestus stabilissimusque consequitur minimeque invidiosus, minimeque male cogitantes sunt qui in eo studio occupati sunt. 
Ovvero:
"E l'uomo che [i nostri antenati] lodavano, lo chiamavano buon agricoltore e buon colono; e chi così veniva lodato stimava di aver ottenuto una lode grandissima. Ora, reputo sì coraggioso e solerte nel guadagnare chi si dedica alla mercatura, ma, come dicevo sopra, soggetto a pericoli e sciagure. Dagli agricoltori, invece, nascono uomini fortissimi e soldati valorosissimi, e il loro guadagno è giusto e al riparo da ogni insicurezza, nulla ha di odioso; e coloro che si dedicano all'agricoltura non sono tratti a cattivi pensieri".
Un "puritanesimo" da Ventennio unito al mito ante litteram del Candido Frantoio...
2) La tracta è una sfoglia sottile fatta con acqua e farina di farro o grano. Può essere agevolmente sostituita con pane carasau.
3) Nel suo "Ricette della cucina romana di Pompei e come eseguirle", Ed. L’Erma di Bretschneider, Roma.

Nessun commento:

Posta un commento