giovedì 23 gennaio 2014

Pollo all' "orientale"? No, "alla Said"

La questione delle identità, e di quelle culinarie in particolare, mi sta molto a cuore.
In una persona a costituire e costruire l'identità è una collana di percezioni, spesso multiple, di se stessa e i vari sensi di appartenenza. Si è, a cerchi concentrici (contigui o intersecanti) tutta quella serie di cose che fanno e sentiamo far parte di noi. E non potrebbe essere altrimenti.
In cucina le cose funzionano in modo analogo, con i dovuti distinguo, ovviamente.
Ne avevo parlato qui, per definire cosa facesse di un involto di pasta con mele uno Strudel, o anche qui, in occasione di una ricetta in cui le spezie rendevano a prima vista mediorientale un semplice piatto di carne macinata.
Certo, non basta mica aggiungere due spezie a un piatto per renderlo "orientale".
E di quale Oriente, poi, quello arabo (magrebino o levantino) o quello estremo del Giappone? Quello cinese con la sua stratificazione di culture millenarie o quello indiano con i suoi mercati colorati di polveri profumatissime?
La cucina porta con sé, nei suoi profumi e i suoi sapori, tutti gli stereotipi di cui siamo capaci per etichettare in modo sbrigativo noi stessi e, in special modo, le cose diverse da noi.
Spesso ci pensiamo poco, visto che quelle etichette ce le portiamo dentro e le usiamo anche in modo automatico, senza nemmeno rendercene conto.
Ognuno tende a vedere l'altro in modo comodo e schematico, senza pensare che nel bignami delle definizioni ve ne sono tra quelle innocue e folcloristiche altre più subdole e pericolose.
Il sud ozioso e godereccio e il nord laborioso e austero, l'arabo falso e l'indiano mistico, il russo passionale e l'americano ingenuo bambinone... e così via in una spirale senza fine.
Tempo fa uscì una collana di libbriccini scritti in stile umoristico nei quali ci si prendeva gioco degli stereotipi delle varie nazioni, proponendosi proprio come Guide Xenofobe.
Il sottotitolo era: "Se li conosci NON li eviti", e infatti elencando in maniera sistematica tutti i pregiudizi  che accompagno un'appartenenza nazionale (o anche municipale) riuscivano a ridicolizzare l'idea che i caratteri dei popoli fossero fissati così, per impronta genetica o per soffio divino.

Gli stereotipi sono perniciosi, si sa, e non ce se libera facilmente.
Ne sanno qualcosa i popoli e le varietà umane reiette da sempre, se proprio sulla pretesa supremazia della "razza bianca" (alla qual il buon Cavalli-Sforza opponeva un'unica razza, quella umana) si sono consumate, da diversi secoli, le peggiori nefandezze.
Riguardo l'Oriente poi, qualunque cosa questo termine voglia dire, le concezioni e le definizioni si sprecano, e si sa perché: sono servite in primis agli Europei e ai colonizzatori degli ultimi tre secoli per giustificare l'aggressione, l'evangelizzazione, la colonizzazione; a circoscrivere con delle etichette le popolazioni altre, quelle che erano "arretrate" e troppo "diverse" da quelle occidentali.
Ma quelle etichette, così effimere eppure così perniciose, hanno anche dato alle popolazioni, che finora non ne avevano sentito il minimo bisogno, dei criteri per definirsi, per sentirsi qualcosa di distinto dalle masse di popoli circostanti.
L'idea di Oriente è un mito che s'è formato nella mente degli Europei, è vero, ma che è stato preso dagli Orientali stessi per trovare in sé gli elementi di diversità rispetto ai dominatori bianchi, una maniera per sentirsi coesi in un'idea di sé che desse la sicurezza di essere altro da loro, dai forestieri.
E così, col tempo, anche gli Orientali hanno fatto proprie le etichette con cui venivano designati e se ne sono fatti vanto, quasi che in quella diversità vi fosse l'intimo orgoglio di riappropriarsi di qualcosa che era così e non poteva in alcun modo essere violentato e depredato.
L'idea che l'orientalismo sia una gabbia-rifugio, una fucina di stereotipi e una caverna di calde, profonde sicurezze ha cambiato il modo di vedere l'Oriente, e ha innescato una discussione che dura da più di trent'anni.
Era il 1978, e sull'idea e la critica dell'idea di Orientalismo il professor Edward Wadie Saïd, anglista e critico statunitense di origini palestinesi pubblicò un libro ancor oggi molto attuale. (1)
E a lui, non all'idea fumosa ed evanescente di Oriente che dedico questa semplice ricetta.


Pollo "alla Said"
200 g    petto di pollo (o tacchino) a fette
1/2 cucchiaino di polvere delle cinque spezie
1/2 cucchiaino scarso di cumino in polvere
2 cucchiai di salsa di soia
2 cucchiai d'aceto
un cucchiaio di concentrato di pomodoro
un cucchiaino di zenzero fresco grattugiato, oppure 1/2 cucchiaino di quello in polvere
uno spicchio d'aglio
sale e pepe q.b
Rosolare leggermente le fette di pollo in padella con poco olio.
Nel frattempo mescolare le cinque spezie, il cumino, l'aglio tritato con la salsa di soia.
Versare la miscela sul pollo e farlo insaporire, rigirando un paio di volte.
Dopo pochi minuti aggiungere il concentrato di pomodoro sciolto nell'aceto.
Lasciar insaporire per un altro paio di minuti, a fuoco basso.
Accompagnare con Mommogamuš, Patatummuš o un semplice contorno di verdure.
Una volta tanto anche senza spezie...

Detto arabo del giorno
الجاهل عدو نفسه
El-jaahil 'adoww nafsoh.
L' ignorante e' nemico di se stesso

Oggi ascoltiamo
Yasemin Sannino - Birdenbire

http://www.youtube.com/watch?v=MtvP4we4WLA

NOTE
1) Chi penserebbe di adattare l'idea di Orientalismo al popolo Sardo? Giuseppe Corongiu, direttore del Servizio Lingua Sarda della Regione Autonoma della Sardegna lo ha fatto nel volume "Il sardo: una lingua normale", ed. Condaghes 2013, dove "mette il lettore in condizione di farsi un´idea in merito a pregiudizi e stereotipi, spesso di origine esterna, ma introiettati e poi diffusi dalle classi dirigenti alla società, che impediscono a tutt´oggi un pieno recupero della diversità linguistica isolana. Le cosiddette verità ´scientifiche´ dell´arcaicità del sardo, della sua presunta vicinanza al latino, della mutua incomprensibilità dei dialetti, della sua ´anomala´ frammentazione, della divisione convenzionale e forzata in logudorese e campidanese, dell´incapacità di produrre termini astratti o tecnici moderni, della sua ´genuinità´ popolare contrapposta all´artificiosità letteraria, dell´impossibilità di avere una letteratura e uno standard ortografico, sono analizzate e scandagliate con metodo razionale."
(dalla quarta di copertina).
Anche un paese come l'Italia ha il suo popolo vittima dell'Orientalismo, di un'idea di sé che definisce e ingabbia, che dà il senso delle radici ma àncora a un passato mitico.

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