domenica 3 marzo 2013

Panchecchi

Quand'ero (ancora più) piccolo restavo basito nell'osservare uno strano comportamento presente nei film o telefilm di matrice nordamericana.
I personaggi di turno si svegliavano, cisposi e incazzati di dover andare a scuola o al lavoro e, girando per casa con un occhio ancora chiuso, sbattendo la fronte sugli stipiti delle porte e, grattandosi le pudenda, cosa facevano?
Andavano dritti dritti a far colazione con le frittelle...
E io restavo sospeso tra il disgusto e l'ammirazione di tanta decisa disinvoltura.
Ma come, facevo tra me e me, questi si sono svegliati due minuti fa e cosa desiderano di più al mondo?
Mangiarsi delle frittelle! E grosse come piatti, per giunta...
Mah, mi dicevo, evidentemente hanno il fegato talmente spappolato da uno sconsiderato uso alimentare che quelle frittelle non avrebbero di certo peggiorato una situazione giunta al limite dell'infarto de panza, di capannelliana (1) memoria.
Solo col tempo ho capito che quello era soltanto un maldestro calco linguistico, o un vero e proprio errore di traduzione puro e semplice.
Non era che i nostri amici statunitensi amassero iniziare la giornata con le zeppole o i fatti fritti, con krapfen e bomboloni appena sgocciolati dall'olio e rivestiti di sciroppo dolciastro.
No, quelle non erano frittelle, nell'accezione italiana del termine (maledetti i traduttori dell'epoca...) ma, semplicemente, una sorta di crêpe.



Sì, bisogna chiamare le cose col loro nome e usare il termine estraneo alla nostra lingua, quando non se ne abbia uno nostro.
Chi direbbe barra per bar? O arzente per whisky? Nessuno, certo.
Possiamo anche fare i grandoni e chiamare le crêpes crespelle, memori del fatto che sono state portate in Francia, come gran parte della cucina transalpina, una certa Caterina Maria Romola di Lorenzo de' Medici, detta semplicemente Caterina.
Sì, lei, la bastardona della strage degli Ugonotti.
Ma anche quella che, andando in sposa di Enrico II, è partita con chicchere e piattini, anzi con cuochi e tegami, e ha rivoluzionato le usanze alimentari francesi.
Ha introdotto l'uso della forchetta, tanto per dirne una.
Certo, gli ugonotti superstiti non avrebbero certo ringraziato per questo relativo salto di civiltà.
Ogni cosa dev'essere sempre considerata nel suo ambito.
Se poi vogliamo farci le crêpe e chiamarle crespelle o fritattine chi ce lo nega?
L'importante, come sempre, è non perdere di vista la sostanza a vantaggio della forma.
E quindi cedere al piacere di una cultura "altra", di altri usi, anche solo alimentari, e provare il piacere dell’altra lingua, o anche di ciò che già conoscete nella sostanza ma è mascherato in altra forma.
Certe delizie, poi, come i pancake, sono senza confini.
Veri e propri patrimoni dell'Umanità.

Ne ho provate diverse, come al solito mio e, alla fine, la ricetta che mi ha convinto è stata quella di Ziopiè, riportata qui e ripresa da questo sito.
Occorrono:
200 g     farina
2            uova
250 ml   latte
3 cucchiai d'olio di semi
1 cucchiaio zucchero
1/2 cucchiaino di sale
2 cucchiaini lievito in polvere
Mescolare gli elementi secchi, unire quindi i liquidi e, con delicatezza gli albumi a neve.
Friggere in un padellino antiaderente, un mestolino alla volta.
Quando formerà in superficie le prime bollicine, con una palettina di legno girarle per farle cuocere anche dall’altro lato.



 
La “morte sua” è lo sciroppo d’acero, dicono, ma secondo me un bel filo di buon miele nostrale non ci sta niente male.
E dato che, come anche per le crêpe, l’impasto è in sé neutro, si presta anche alla farcitura con ingredienti salati.
Qualsiasi cosa, siano affettati e/o formaggi vari; che so, anche gorgonzola e mortazza…




A moré, e fàmolo sto peccatuccio su...
Dicevano le peripatetiche ai loro clienti titubanti.
Ma vi sembriamo forse tipi che titubano, noi?
Maddeché

P.S. Ah, ovviamente l'impasto è suscettibile di aggiunte d'ogni genere: cacao, spezie e aromi vari.
Ovvio che non mi sono dimenticato della mia amata curcuma, e ne ho aggiunto un cucchiaino in  metà dell'impasto per vedere che effetto desse.
Ottimo ed esotico, direi:



NOTE
1) "Capannelle" è il ladruncolo sempre affamato del film "I soliti ignoti" di Mario Monicelli del 1958, interpretato dal bravissimo Carlo Pisacane.
Nel sequel del '59, "L'audace colpo dei soliti ignoti" di Nanni Loy, dopo aver portato finalmente a segno la tanta sospirata rapina, il povero Capannelle non resiste ed entra in un ristorante per abbuffarsi fino a scoppiare con un pranzo che va dall'antipasto al dolce e, per finire ha, come ultima portata, un bel piatto di fagioli col tonno...
Ne segue un'indigestione talmente forte (un infarto de panza, appunto) che lo porta in punto di morte in ospedale.

Certe battute di questi film mi accompagnano da sempre, e le spargo spesso come citazioni nelle mie conversazioni.
- A Capannè, ma come te sei vestito?
- Shportivo! (con accento bolognese)
oppute, quando Ferribbotte (Tiberio Murgia) suona al citofono della sorella Carmelina (la Cardinale) e questa fa:
- U iè?
- Sogno Michele, dimenticai le chiavi.

2 commenti:

  1. Anch'io da piccola ero fissata con queste "frittelle"....ma non per i film...bensì per le storie di Topolino....quante se ne mangiava Paperino!!!! Figurati che per la prima volta le ho assaggiate qui in Germania...e sono buonissime! Stamattina mi hai veramente tentato...sono andata anche a controllare quante uova avevo ;-) ma poi ho deciso di tenermele per merenda....magari con della buona e sana Nutella :-) :-) :-)
    buon inizio settimana

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  2. Buon inizio di settimana anche a te, cara!
    Ah ah ah, allora sei una ghiottona come me! Pensavo di essere anormale...
    Stasera mi sono fatto un paio di fette di un atorta che posterò domani.
    Baci baci
    Riccardo

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