lunedì 28 gennaio 2013

Babà

No, non questo:

  ... ma questo:


Sapete già la storia del Babà? 
Wikipedia dice che...
Il babà è una derivazione di un dolce a lievitazione naturale, originario della Polonia, che si chiama babka ponczowa, "dolce della nonna" (da babka, "vecchia"), e ha mantenuto la forma tonda con la crema in mezzo. Utilizzato dai cuochi francesi, il "baba" ha assunto l'accento sulla sillaba finale, mentre i napoletani gli hanno raddoppiato la consonante.
L'inventore del babà fu il re Stanislao Leszczyn'ski che, essendo suocero di Luigi XV, si dilettava ad inventare sempre nuovi piatti. Il sovrano, edentulo, pare non potesse mangiare il kugelhupf, un dolce tipico francese dell'Alsazia che egli trovava troppo asciutto. Fu allora bagnato di Tokaj e di sciroppo.
La tipica forma a fungo la si deve al celebre pasticciere Nicolas Stohrer, giunto a Parigi con Maria Lesczynska, fidanzata del sovrano francese. Al numero 51 di rue Montorgueil ancora oggi la maison offre prelibatezze dal sapore dolce. Un'altra versione delle origini faceva ricordare al re la gonna a campana (tonde) delle donne anziane che si chiamano babka. Un'altra storia racconta che il re, dal pessimo carattere, scagliasse il dolce contro una credenza, fracassando una bottiglia di rum. Questa andò ad inzuppare il dolce e Stanislao allora lo assaggiò, trovandolo ottimo.
Nel XIX secolo il maestro Brillat-Savarin inventò un liquore che ben si accompagnava alle macedonie di frutta. La pasticceria francese dei "fratelli Julien" ebbe l'idea di chiudere la macedonia in un babà opportunamente spennellato di confettura di albicocche, nacque così il babà "Savarin". 
Le prime fonti partenopee sul dolce risalgono al 1836 quando il cuoco Angeletti scrisse un manuale culinario in cui è descritta la ricetta con uvetta e zafferano, questi ultimi gradienti persi negli anni a causa della “volgarizzazione” delle pasticcerie commerciali che ne hanno sfornati nuovi tipi con crema e amarene o magari servito mignon con gelato semifreddo.

Questa la storia ufficiale, ma molti non sanno che vera storia del Babà è un'altra... 

Si narra che un giorno, tanto tempo fa, la ninfa Partenope si aggirasse per il mondo vendendo pizzelle fritte....
Ma come, una ninfa, un essere meraviglioso, fatato, che si mette a vendere pizzelle?
E pure fritte, per giunta?
Il fatto è che anche le vecchie divinità, come anche gli esseri umani, decadono, e ciò accade quando non si crede più a loro e quando nessuno al mondo ne conserva la memoria.
Molti dèi erano divenuti l'ombra di loro stessi, altri erano semplicemente svaniti nel nulla, inghiottiti dall'Oblio, l'essere che perenne accompagnava gli esseri viventi (e quelli divini) sulla terra.
Certo, era già successo altre volte nella storia che nuovi dèi soppiantassero quelli di un tempo, ma qualcuno ancora aveva memoria di lei ed accendeva in suo onore, ad ogni plenilunio, una lanterna che rimaneva accesa tutta la notte.
Ma questo ovviamente non bastava a mantenere semidivina come un tempo l'esistenza della ninfa.
Così, con la fantasia e l'ingegno che le era peculiare, aveva deciso di mescolarsi agli umani e di girare il mondo, pur di non scomparire, o di impazzire, com'era già successo ad altre ninfe.
E l'unica cosa che potesse assicurarle un sicuro successo era diffondere i sapori della terra dov'era nata. 
Sapeva che il cibo era una delle poche cose che potessero davvero incuriosire gli umani e, decisa a conquistarsi un minimo di considerazione che le spettava, aveva messo su un'attività di "cuciniera ambulante", come lei stessa amava definirsi.
L'accompagnava suo fratello Posillipo, un sileno del golfo, che si curava di trasportare il pentolone e di friggere le pizzelle, mentre la voce squillante di Partenope ne amplificava il meraviglioso profumo tra le genti del posto.
Certo, anche per Posillipo la sorte non era stata benigna: l'essere stato semidimenticato dagli umani l'aveva fatto ingrassare a dismisura e così, con una magliettina bianca troppo stretta per la sua mole, il grembiule a quadretti rossi e la faccia scura perennemente sudata, era solo l'ombra di ciò che era stato un tempo.
Non v'era posto in cui non fossero stati: l'Europa non aveva più segreti per loro, ma anche le più remote e sperdute regioni delle Americhe e della vasta Siberia avevano conosciuto il profumo delle loro pizzelle.
Forse l'unico posto dove non s'erano mai avventurati era l'Antartide, ma non ne sono certo...
Insomma, durante uno delle loro peregrinazioni, giunsero in una terra del nord, popolata prevalentemente da agricoltori che non avevano ancora conosciuto il piacere del loro cibo e lì, come destino vuole, accadde l'irreparabile...
Durante una fiera in cui i due fratelli erano giunti per vendere i loro manicaretti Partenope incontrò gli occhi chiari di un giovane umano, e se ne innamorò.
Ora, dovete sapere che quando una ninfa, o un essere sovrannaturale, s'innamora di un essere umano nascono sempre, inevitabilmente, problemi irreparabili, da che mondo è mondo.
È anche vero che è impossibile anche per gli dèi, come per noi umani, resistere all'amore, ma mentre per noi poveri mortali il massimo che possiamo rischiare è di prendere una cantonata con annesse paia di corna, per gli esseri divini questa è una vera e propria sciagura.
Qualora accadesse che uno di loro si innamori di un umano non vi sono alternative: o rinunciare alla passione o perdere la natura divina.
La faccia cupa e gonfia come un bigné di Posillipo seguiva con apprensione la sorella che, rossa in volto, si aggirava tra gli esseri umani senza saper più spiccicare una parola che fosse una.
Chiuse con un enorme coperchio la bocca fumante del pentolone e s'avvicinò a Partenope, sussurrandole all'orecchio: "Insomma, ma che ti passa pe la capa? Te si' scimunita?"
Lei si voltò a guardarlo con uno sguardo perso e beato che lo fece rabbrividire.
"Vien'a cca - Le disse, infine - Ca chist' è nu papocchie ca lu duvimm' affrontà come si deve!"
E, a dispetto della sua mole enorme, la prese per un braccio e la trascinò velocemente, lontano dagli esseri umani.
"Qui ci vuole un aiuto potente..." Pensava tra sé e sé.
E chi se non la dea dell'amore poteva dar loro una mano?
Venere non si faceva ormai chiamare più così da tempo immemorabile, e per tutti era, oramai, solamente Donna Mimma...
Per sfuggire dalla minaccia dell'oblio s'era inventata un'attività da maga e fattucchiera, e viveva in un minuscolo appartamento al quinto piano senza ascensore e senza riscaldamenti, dove creava pozioni e pronunciava sortilegi per riavvicinare amori perduti o riaccendere fiamme sopite.
Quando vide la faccia persa nel vuoto di Partenope esclamò ad alta voce (e a dispetto della concorrenza) un "O Marò!..." che non prometteva niente di buono.
"Che possiamo fare Donna Mimma? La guagliona s'è innamorata persa, e 'sta cosa mi manda ai matti!"
"Lo vedo da me, Posillipo... Fammi vedere chi è il giovane." E, così dicendo, posò una mano sulla fronte di Partenope e vide chiaramente l'oggetto del suo desiderio.
Un giovane dagli occhi chiari, i capelli scuri e ricci e la bocca rossa sempre pronta al sorriso.
"Stanislao... si chiama così, ed è un essere umano, a dispetto delle sue fattezze. Sembra un essere divino... - Sussurrava pensosa Donna Mimma. - Sai cosa vuol dire questo, vero?" Fece a Partenope, che era ormai persa in una beatitudine senza ritorno.
"Che lo amo, vero?" Disse lei con un sorriso da beota.
"Non solo... - Le rispose la maga con occhi profondi come il cosmo. - Questo vuol dire che o rinunci a lui o alla tua divinità. Lo sai questo, vero?"
Partenope parve un attimo confusa, come se fosse combattuta tra due strade che entrambe la portavano verso l'ignoto o verso il nulla.
"Lo voglio. - Disse, infine. - Non posso rinunciare a lui, per niente al mondo."
Posillipo si batté la mano sulla testa, disperato. Tralascio di riportare quello che esclamò, in vernacolo, preso dalla foga e dalla disperazione.
"C'è solo un modo per salvare il salvabile. - Fece Donna Mimma, serissima in volto. - Per non perdere in un colpo solo la divinità e la tua vita umana dobbiamo fare in modo che anche lui ti ami, e ti ami per sempre."
"E come possiamo fare?" Fece Posillipo, sempre più cupo. Il colore del suo viso si confondeva con quello della parete, e v'assicuro che non era un bello spettacolo.
“Bisogna fargli assumere questo.  - E da uno scaffale prese un flaconcino di liquido giallo – Solo così saremo sicuri di non perdere per sempre Partenope. Se il danno non è già fatto…”
“Lo deve bere?…” Chiese Posillipo con lo sguardo confuso.
“Puoi anche mescolarlo ad un cibo e, una volta assaggiato, saremo sicuri che amerà per sempre questa… sciagurata. Andate ora, che il tempo stringe!”

Posillipo prese il flaconcino, l’aprì e ne annusò il contenuto. Un profumo dolcissimo di limoni, di sole, di brezza del golfo gli invase le narici, la mente, i ricordi.
Lo richiuse subito, con gli occhi lucidi, e disse alla sorella:” Jamm’ c’avimm’ a fà qualcosa di buono, di nuovo e di grande.”
Rimase nel bugigattolo che li ospitava a mescolare ingredienti con la perizia che gli era propria.
La sorella lo vide unire farina, uova, burro, e impastare con amore e con disperazione.
Dopo un po’ lo vide fermo al centro della stanza, ansimante, con una massa morbida tra le mani che pareva traslucida sotto il velo di farina.
“E ora a riposare, e poi in forno” Fece alla sorella che lo guardava stupita.
Dopo che l’impasto crebbe il doppio del suo volume Posillipo lo mise a cuocere e, dopo qualche minuto l’aria era già piena di un profumo paradisiaco.
“È quasi pronto… Sei sicura di tutto questo?" Disse alla sorella.
“No, non sono sicura. Come potrei? So solo che lo amo, e questo mi basta…” Fu l’unica risposta che ebbe da lei.
“Allora sia – Disse lui, prendendo il flaconcino con la pozione, che diluì in uno sciroppo. – Ecco qua.”
E irrorò il dolce con il liquido profumato, imbibendolo completamente.
“Ora esci, vai da lui, e offrigli questo dolce. E buona fortuna…” Le mormorò con gli occhi bassi, senza riuscire a dire altro.
Lei non se lo fece ripetere e, ebbra di gioia, uscì in strada con quella meraviglia tra le mani, in cerca del suo amato.
Lo vide tra la folla e puntò dritto verso di lui, con un sorriso così luminoso che nemmeno il sole poteva eguagliare.
Lui la guardò stupito, abbagliato da tanta grazia e da tanto splendore.
L’aveva già notata dal primo giorno ma, come spesso accade, non aveva avuto nemmeno il coraggio di parlarle.
Convinto dallo sguardo di lei, che le porgeva una delizia così profumata, si convinse ad assaggiare quel dolce straordinario.
Be’, sapete già cosa accadde, vero?
Appena lo portò alla bocca sentì tutta la malia del mediterraneo e i suoi sapori per lui esotici, il profumo e il calore di un vento che nessuna avversità può impedire di essere materno, avvolgente e amoroso.

Posillipo continua a preparare le sue pizze, così le chiama lui, forte anche del fatto che il forno le rende più gustose e digeribili.
E quel nuovo ingrediente, come si chiama, ah sì: ‘a pummarola, le rende ancora più appetitose. Ogni tanto si ferma quei pochi minuti che servono alle pizze per cuocere e pensa alla sorella, che è tornata a vivere nel golfo e fa la pasticcera.
Assieme a Stanislao hanno aperto un negozietto famoso in tutto il mondo, da dove escono tutte quelle delizie che solo l’amore può rendere irresistibili.
Da allora, e per sempre, si amano come il primo giorno in cui hanno riso insieme dell’espressione che lui fece assaggiando il dolce di Posillipo.
Donna Mimma continua a dare consigli e pozioni alle persone che chiedono il suo aiuto e che, cercandola, ne mantengono in vita la divinità.
Ogni tanto pensa a Partenope e sorride tra sé.
Chissà che faccia farebbe se sapesse che in quel flaconcino invece di una pozione d’amore brillava il suo miglior limoncello…

Ecco, non so se questa storia vi convincerà, ma di sicuro vi convincerà la ricetta:
250 g    farina
20 g      lievito di birra
50 g      zucchero
250 ml  latte tiepido
85 g      burro
3           uova
un pizzico di sale
scorza gratttugiata di un limone
burro e pangrattato per lo stampo
250 ml   panna (facoltativa)

Per lo sciroppo:
250 ml   acqua
150 g     zucchero
100 ml   limoncello (o di rhum, se volete il classico)

In una terrina mettere la farina e al centro un cucchiaio di zucchero (20 g ca) e il lievito sbriciolato.
Diluire con il latte intiepidito e mescolare bene.
Lasciar riposare una ventina di minuti al coperto, quindi unire il burro fuso, le uova, 30 g di zucchero e la scorza gratttugiata di mezzo limone.
Lavorare energicamente con cura e quindi far riposare per una decina di minuti.
L'impasto potrà sembrarvi troppo liquido per un lievitato, eppure la sua consistenza gli permette di mantenere una spugnosità e una morbidezza notevoli.
Imburrare uno stampo a ciambella da 26 cm di diametro, cospargerlo di pangrattato e versarvi l'impasto, scuotendolo leggermente per liberare eventuali bolle d'aria presenti all'interno.
Far lievitare al coperto fino al raddoppio del composto, quindi infornare a 200° e cuocere per circa quaranta minuti.
Qualora la superficie del dolce dovesse tendere a colorirsi troppo ricoprirla con un foglio di alluminio e proseguire la cottura.

Preparare uno sciroppo con l'acqua e 150 g di zucchero, portandolo a bollore, sempre mescolando, finché risulti limpido.
Unire la scorza del limone rimanente e il liquore.
Bagnare con lo sciroppo il babà, utilizzando un pennello o versandolo con un cucchiaio lentamente, per farlo assorbire bene.
Farcire la cavità del dolce con della panna montata o con della crema pasticcera (magari al limoncello, no?).
Ah, naturalmente un dolce del genere è ottimo accompagnato da gelato alla crema.
Una delizia degna degli dèi.
E d'una ninfa...



Detto napoletano del giorno
L'ammore fa passà 'o tiempo e 'o tiempo fa passà l'ammore.

L'amore fa passare il tempo e il tempo fa passare l'amore.


Oggi ascoltiamo
Roberto Murolo e Mia Martini - Cu' mme
 
http://www.youtube.com/watch?v=1YpLTUqVYw8

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