mercoledì 19 dicembre 2012

Ravioli amletici di Zucca e Myristica

Ovvero: la zucca si mette su tutto  (quinta parte)

Cosa c'è di più goloso, accattivante e sfizioso di un bel piatto di pasta ripiena?
Con la verdura, col formaggio, con la carne: comunque sia è sempre una festa.
È un piatto che sa di domenica (a casa mia no: da me si usavano le fettuccine al ragù e, a seguire, ovvio, spezzatino di carne al sugo, uffa...)
Un piatto per una ricorrenza importante, qualcosa di speciale. Ma anche no.
E comunque, alla fine, nemmeno poi così difficile ed impegnativo da fare.
Come ci si regola però quando non si conosce bene l'ingrediente che si vuole uilizzare come ripieno?

Che ci faccio adesso con 'sto chilo di zucca?
Mi sembro Amleto col teschio del suo povero babbo.
Che faccio: mi vendico (di Leppagorre, quel maledetto demone tentatore) o lascio perdere e mi metto di buzzo buono ad elaborare la ricetta?
Che dilemma...
Siccome mi lascio spesso frenare da ogni sassolino che incontro per la strada tranne che in cucina, la domanda è retorica e il dilemma è uno di quei falsi nodi che, tirandoli, si sciolgono all'istante.
Quindi, via: la Rete come spunto e la capoccia mia come elaboratore.

Anche di ravioli alla zucca esistono molteplici varianti.
Io però volevo qualcosa che non coprisse troppo il sapore della zucca, che di suo è così tenue, porello, che basterebbe poco a coprirne la delicatezza.
Ma volevo anche qualcosa che fosse... intrigante.
- Che pretese, per dei ravioli!
- Zitto tu, che se ti prendo ti faccio in salmì! Anzi, guarda, ti nascondo il barattolo dello zucchero! Dov'è?... dov'è? Mo' sono affari tuoi!
- Scusa, scusa, scusa... lo zucchero no, lo zucchero è vita!
- E lo so bene. Il saccarosio è per te quello che il sangue fresco è per il conte Dracula! Sei la mia croce...
- Ma anche la tua delizia, dài...
- Sì, proprio!

Sono atterrito dall'accostamento mostarda e amaretti nella ricetta dei ravioli alla Mantovana, e non sono molto amante della mostarda. Via, cassata!
- Sì, sì, per dolce una bella cassata con la ricotta! Mhhh... già me la sento sciogliere in bocca!...
- Taci, maledetto infingardo, sei buono solo a mettere bocca, tu!
- E hai detto niente...
Insomma, che ci accosto a 'sta zucca?
Delle patate? Un formaggio? Altre improbabili verdure? Boh...
Seguiamo la procedura back-to-top che a me piace tanto: dal più basico e semplice al più elaborato e difficile.
Farò qualche prova da consumare e/o surgelare, così almeno mi renderò conto della strada da seguire.

Mettiamo che volessimo fare una ventina di ravioli.
Ci occorre, per la pasta:
200 g farina
2        uova medie
sale e acqua q.b.
Procedura solita per la pasta da sfoglia, quindi pennichella di mezz'ora, al coperto dalle correnti...
- Perché, si raffredda? Povera cara...
- No, Leppà, semplicemente si asciuga. Ma non avevi promesso di stare zitto tutto il tempo?
- E tu credi alle mie promesse?
- Già, è vero...

Composto base per il ripieno:
500 g zucca
50 g   grana grattugiato
1 uovo piccolo
Per la cottura della zucca abbiamo già ampliamente visto come fare nelle puntate precedenti.
Basti sapere che la zucca è per la maggior parte composta d'acqua e quindi, una volta cotta (al forno, al vapore, in padella o nella pentola a pressione) del bel chilo di zucca che l'ortolano ci ha messo in busta se ne ricaverà si e no un terzo.
Passata la zucca, o anche schiacciata con la forchetta, la si mescola al formaggio e all'uovo.
Si regola di sale e... E adesso?
Direi di fare così:
I passo:   Usare solo il ripieno base. Al limite saprà solo di zucca, e non andrebbe comunque male.
II passo:  Unire una grattatina di noce moscata (male non fa, e non è troppo ardita). 
III passo: Unire un pizzico di cacao amaro, che col dolciastro della zucca, chissà, forse forse...
IV passo: Aggiungere, così, per sfizio,  qualche amaretto sbriciolato e vedere cosa succede.
V passo:  Unire mezzo cucchiaino di quella miscela di spezie prese al Genovino d’Oro di Franco Calafatti.

Una piccola parentesi è dovuta.
Uno pensa di entrare nel solito negozietto di prodotti artigianali e/o bio, con i classici commessi invasati che sarebbero capaci di azzannarti alla carotide qualora chiedessi loro delle salsicce sott'olio e, invece...
Invece, in pochi metri quadrati si apre davanti a noi un mondo. 
È Il Mondo delle Spezie...
Inizia dai profumi. 
Dapprima un po' caotici e confusi, come quando un'orchestra durante le prove riempie l'aria di un'accozzaglia di suoni disarmonici e slegati tra loro.
Poi, pian piano, la matassa degli odori si districa e, davanti a noi, si forma una mappa sensoriale di aromi, alcuni ormai familiari, altri curiosamente esotici, sconosciuti.
E arriva l'Asia con la cannella, la noce moscata, il cardamono e i mille possibili curry; col tè nero e forte e quello verde e delicato.
Ed ecco l'Africa col coriandolo, il cumino, la menta e la vaniglia.
E le Americhe, con i tanti chili che noi a stento conosciamo, e col divino e regale cacao.
Per effetto della Quinta Dimensione quella viuzza del centro di Roma si trasforma nella Via della Seta o nella rotta di Colombo. 
È la Strada per l'Altrove.
Avvinti e stregati dalla quella nuvola avvolgente potreste anche non voler più uscire da lì.
Anche perché la simpatica Matilde, sirena di quest'isola incantata, non esita ad aprire barattoli su barattoli per farci annusare una particolare combinazione di spezie, un'altra appena creata con la polvere di liquirizia, poi un'altra che sta bene sulle verdure e questa... questa è divina sul pesce...
Come passa il tempo quando ci si diverte.
Sembra la solita frase fatta eppure, se passaste a via Collina 22 a Roma, mi dareste senz'altro ragione.
Insomma questo per dire che in quest'oasi di profumi abbiamo preso, su consiglio di Matilde,  una miscela di macis e pimento, che pare sia ottima con la zucca...
Il macis non è altro che la scorza esterna della noce moscata, la coccia insomma, ma ha un aroma ben differente: più delicato e, allo stesso tempo, penetrante.
Ricorda il fasto esotico della noce moscata ma non così scontato e abitudinario.
La Myristica fragrans, infatti, a dispetto del suo poetico nome è diventata negli anni, qui da noi, la Regina delle Rosticcerie, una regina una volta altera e maestosa ed oggi pateticamente decaduta...
Ma d'altronde, chi meglio di lei è in grado di coprire gli odiosodori di ragù che hanno oltrepassato da troppo tempo una decente e digeribile vecchiaia?


Preparati i nostri ravioli con un coppapasta da 7,5 cm di diametro li abbiamo riempiti con i rispettivi ripieni, suddivisi in cinque allegre ciotoline.
Il procedimento è quello per i cappellacci, semplice e veloce.
Veloce lessata in acqua bollente e salata e, per assaporare meglio il gusto del raviolo soltanto un filo
d'olio evo, giusto per non mandarli in giro nudi...



Quindi, riepilogando, le prove fatte ci hanno confermato i sospetti che avevamo.
Solo il ripieno base? Ottimo, ma un po' troppo... basico.
Noce moscata? Mhhh...non male ma il rischio rosticceria è dietro l'angolo... e basterebbe poco per ritrovarcisi dentro e senza via d'uscita.
Di cacao nemmeno a parlarne: troppo "composto" e altero per la zucca, che è, in fondo, una dolce contadinotta, un po' cafona ma schietta e verace.
E gli amaretti... be', lasciamoli ad altre latitudini dove il dolce e il salato vivono più serenamente i loro connubi.
Fatto sta che, alla fine, delle cinque prove, proprio l'ultima ci ha riservato delle sorprese.
Zucca, macis e pimento è l'accostamento vincente.
Il quinto passo è l'addio scriveva il compianto Sergio Atzeni (1).
Per noi il quinto passo è stato invece un meraviglioso buongiorno....

Detto romano del giorno
Quanno te dice male mozzicheno pure 'e pecore.

Quando le cose vanno male anche le pecore mordono.


Oggi ascoltiamo
Sting - Fragile
http://www.youtube.com/watch?v=lB6a-iD6ZOY

1) Il destino, la sorte, la sincronicità...
Indifferenti ma beffarde entità sembrano spesso prendersi gioco di noi, poveri esseri senzienti.
Il mare, che da sempre è stato una minaccia per i Sardi, lo è stato anche per chi sarebbe diventato poi il loro cantore più sincero.
Era il 1995, e un'ondata violenta e imprevista, fatale, si portò via lo scrittore più promettente che l'Isola avesse avuto.
Stava per uscire Il quinto passo è l'addio, un'epopea dell'abbandono della propria terra e delle proprie radici, l'addio ad una strada circolare e senza futuro, orba oramai anche del suo passato.
Qui la parola radici non ha il senso retorico che gli danno i sostenitori delle "tradizioni" a tutti i costi, anche di quelle barbare.
Radici qui vuol dire identità e quindi, in primis, l'uso (e non lo svilimento) della propria lingua.
Ma anche vedersi con rassicurazione nei volti delle persone che ci circondano, riconoscersi, capire cosa si è confrontandosi con altre genti, con altri usi e altre abitudini; capire dove si può arrivare, e come, col proprio bagaglio ancestrale.
Il personaggio rinuncia, non può seguire quello che non esiste più, che è stato distrutto dalla colonizzazione e che lo sarà ancor più radicalmente nei decenni seguenti dalla globalizzazione, che sommergerà -  per amara ironia - anche gli stessi colonizzatori.
L'unico passo da fare, l'ultimo, è appunto l'addio...
Ma il romanzo più famoso di Sergio Atzeni, Passavamo sulla terra leggeri, uscì postumo solo l'anno dopo.
Passavamo sulla terra leggeri - racconta il custode della memoria del popolo sardo - Leggeri come l'acqua, viva e furente, festosa e violenta, ma anche innocente e candida nel suo vitalismo, nel suo essere spontaneamente e inconsapevolmente parte della natura.
Il racconto è fatto dal custode a quello che sarà il suo successore, in una catena infinita di persone incaricate, da una generazione all'altra, di tramandare il ricordo dei fatti salienti succedutesi nell'isola fin dalla notte dei tempi.
Racconto che registra gli eventi accaduti fino al 1409, l'anno in cui la Sardegna, per mano aragonese, perse l'indipendenza e quella millenaria autonomia che aveva resistito alle numerose invasioni.
Un'autonomia sostanziale che aveva permesso alla loro cultura d'essere permeabile ad ogni apporto che giungesse dal mare: dai nuragici ai fenici, dai cartaginesi ai romani, dai barbari ai bizantini, dai pisani ai genovesi.
Ognuno di loro aveva sì preso molto, ma aveva anche portato tutto quello che ha contribuito a formare la cultura e l'identità dei Sardi.
Nel 1409 però l'isola diventa parte del regno spagnolo e, di fatto, una colonia.
La storia dei Sardi finisce lì.
Che senso avrebbe infatti continuare a cantare le gesta degli invasori?
Perché di canto epico si tratta, con il tipico linguaggio ripetitivo, strutturato per giustapposizioni, immagini, particolari vividi, tipico della narrazione orale.
Un racconto che per sua natura è poetico, di quella poesia che ricorda Omero e le basi elleniche della cultura occidentale.
Quello di Sergio Atzeni è un racconto che più di ogni altro fa percepire il quid di quella sardità che s'estrangiu confonde spesso con il folklore, i suoi orpelli e le maschere sotto cui, da secoli, con prudenza e pudore si cela.
Epico, poetico e appassionante. In tre parole.

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