lunedì 1 ottobre 2012

Lorighittas... o quasi

Aveva ragione il nostro più grande poeta contemporaneo, Fabrizio De André...
Non siamo noi a scegliere la nostra terra ma è lei, con le sue voci, i suoi colori e i suoi profumi a sedurci, a entrarci dentro, ad appartenerci e a farci suoi.
È amore per quello che, generosa e prudente, prodiga e riservata ci ha rivelato di sé a poco a poco, come in un lento e inesorabile innamoramento.
Un amore che va meritato perché va preso sul serio, travalicando gli sguardi più superficiali e l'interesse per quegli aspetti più caratteristici e peculiari che la fanno diversa, altra.
Una amore che non si dona così, facilmente, ma che quando entra nelle ossa non se ne va mai più via.
Ed è dolore per lo svilimento in cui la vediamo afflitta, per la desolazione in cui è piombata e da cui sembra che solo con estrema fatica potrà, un giorno, forse, uscirne fuori.
È proprio come il dolore di veder trattata male la persona a cui si vuol bene, di sentirla offesa da qualcuno che senza riguardo né rispetto tenta di farla sentire indegna, anche solo d'esistere.
È vero, non siamo noi a scegliere la nostra terra. È lei a scegliere noi.

Terra sarda,
s'alenu tuo lontanu
m'intra in su coro,
che s'oghe prufunda,
cuada e muda,
che s'abba currende
sutta a sas pedras,
amarga e durche,
e s'anima me prena
interamenti.
Leami, mama terra,
chi deo soe, innoghe,
tuo chene freas
ne dudas, chena atteros
gestos che un'abbratzu...

Festeggiamo questo amore conclamato con qualcosa di nuovo, e di impegnativo.
Oggi: Lorighittas!

Ci ho voluto provare, senza nutrire molte speranze e, devo dire, per essere la prima volta non c'è male. Anzi...
Ma ora capisco perché sono le donne ad occuparsi di lavori certosini come questo...
Non certo per una divisone dei ruoli che per secoli e secoli le aveva messe in casa a badare "soltanto" ai figli e alla cucina. Non solo.
È perché le donne, cari miei, sono esseri superiori. In molte cose.
Solo la cultura ottocentesca, maschilista e retrograda, poteva far venire in mente a Freud l'idea che esse potessero invidiare la nostra virilità. L'invidia del pene è una bufala senza pari.
In realtà siamo noi uomini ad invidiare il loro inaccessibile potere, specchio di quello ciclico e vitale della natura.
Siamo noi maschi ad invidiare la loro capacità di generare la vita e a temere la loro forza inesorabile, sottile e meno grezza e manifesta della nostra.
Ah, la pazienza, i gesti, e la sapienza delle donne...

Mi sono voluto documentare , come al mio solito, e ho trovato un filmato che mostra la signora Gilda Garau, dell'agriturismo "Sa lorighitta" di Morgongiori (e dove, sennó?), che ha spiegato con precisione e simpatia tutte le fasi della lavorazione di questa pasta.
Si parte da pochi, semplici, ingredienti.
Si versa in una xivedda, (ossia la ciotola di terracotta) la semola di grano duro, il classico etto a persona, più o meno, a cui va aggiunta a poco a poco l'acqua in cui è stato sciolto del sale pa su battai, ovvero "per il battesimo"...
Dice infatti la sora Gilda: "Sa genti antiga ponianta sempri sa sabi po battiai in s'impastu che si farìa... Da cualsiasi impastu ch'at si fattu si ponìa semprì sa sabi po battiai".
E noi lo si battezza così, con un gesto quasi rituale, come il taglio a croce sull'impasto del pane, e quindi si parte a lavorare la pasta, con pazienza, decisione, forza.
Avete mai "sentito" gesti come quello dell'impastare?
E provare quella strana sensazione di veder riflesse nelle mosse delle vostre mani altri gesti, lontani, arcaici e ripetuti da millenni, da sempre, con la stessa cura, lo stesso amore, e a volte anche con la stessa sofferenza?
A me capita spesso quando preparo il pane.
Sento che i miei gesti scivolano all'indietro, arrivano agli albori della civiltà, oltre le latitudini, le abitudini e le lingue.
Fino ad arrivare a nonna Lucy, e anche oltre...

Preparato così il nostro bel panetto, vi si ricavano dei serpentelli lunghi e sottili.
E qui mi rendo conto di quanto io sia limitato nella manualità, nella capacità e nella pazienza.
I miei serpentelli erano un po' boa costrictor e un po' pitoni.
Insomma, un po' troppo grossetti, a dir la verità. Ma per oggi va anche bene così.
Si fanno quindi due giri di pasta sull'indice e il medio della sinistra (se siete destrorsi, sennó il contario...) e si saldano le estremità dell'anello, premendole leggermente.
Poi, tenendo ferma la giuntura con una mano, si fa ruotare la coppia di fili di pasta su se stessa, formando così un'anello (sa loriga) intrecciato.


Lo si vede fare in due secondi dalle signore di Morgongiori.
E capisci che i loro sono gesti imparati, abituali, tramandati e, alla fine, eterni...
Le mie lorighittas sono un po' sformate, diseguali, paccutelle e stortignaccole ma, mi ripeto, per oggi va anche bene così. La prossima andrà anche meglio.

 

Rimane da preparare un sughetto degno di loro.
Pomodoro semplice? Giammài!
Soffritto di trittico (carota, sedano e cipolla) poi salsiccia a pezzetti e funghi porcini.
Ho usato quelli secchi, ammollati in acqua tiepida, e ho stemperato la cottura della salsiccia con la loro acqua decantata e filtrata.
Quindi, passata di pomodoro, poca acqua, sale, e via a bollire per almeno un'oretta.
Lo voglio bello carico...
Mh, quasi ci siamo. nell'acqua bollente faccio cuocere i miei lorigones, per dieci minuti almeno, visto il loro spessore.
Ripassatina nel sughetto, spolverata di pecorino grattugiato e via, verso il paradiso papillare.



E mentre gusto, ad occhi chiusi, penso alla lontananza, e a come questo sia uno stato solo all'apparenza così solido.
In realtà è così fugace, se bastano ricordi, profumi, sapori, ad annullare la nostalgia e a riportare alla mente e al cuore ciò che si ama.

Detto sardo del giorno
Ognunu dat contu de sa bertula sua. 

Ognuno risponde del contenuto della propria bisaccia.

Oggi ascoltiamo 
Gianni Nocenzi, Andrea Parodi - Mintoi
http://www.youtube.com/watch?v=DVY29Z4T6ZU

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