sabato 30 giugno 2012

Ma quanti siete a cena?...

Non so se avete visto quel film stupendo di Ferzan Özpetek, La finestra di fronte.
Se non l'avete ancora fatto compratevi il disco a scatola chiusa, poi casomai (ma non avverrà, ne sono certo) venite pure a reclamare da me.
Insomma, ad un certo punto il noto pasticcere Davide Veroli esclama con un senso di rassegnazione che "quest'oggi i dolci non mi riescono bene..." e spalancando le porte della sua cucina rivela all'allibita Giovanna (Mezzogiorno) e alla governante Sara, una tavolata colma di ogni bendiddio, una sfilza smisurata di dolci perfetti, degni della sua onorata professione.
Fatta salvo ogni possibile raffronto col personaggio (un Massimo Girotti al suo canto del cigno...), ieri avrei dovuto esclamare: "beh, oggi non m'andava molto di cucinare..."


Quando il mio amico-vicino (nonché cavia culinaria) Elio s'è affacciato in cucina mi fa: "A tesò, ma quanti siete a cena, stasera?..."
Mi prende bonariamente in giro per questa mia smodata mania di cucinare tanto, troppo.
Forse ha ragione. Forse hanno ragione. Che ne dici Leppagorre?
- Ah, senti: io mi sono divertito troppo, anche quando hai tenuto il forno acceso per due ore con 40 gradi all'ombra... tanto questi sono affari tuoi. Anzi, adesso che vedo la quiche al formaggio, la prossima volta dovremmo, se vuoi...
Incorregibile...
A Roma diciamo quando si chiede a qualcuno qualcosa che non potrà che avere una risposta retorica:
È come chiede all'oste: è bbono er vino?
Ecco, è inutile e fa sentire anche un po' stupidi.
Ma cucinare mi ricrea, mi solleva dalle tensioni interiori alle quali rischio di cedere, mi fa sentire creativo e poi, se le cose vengono come dico io, orgoglioso di me stesso.
Che, per uno  come me, è già un traguardo...
A presto con i ragguagli...

Oggi ascoltiamo:
Guadalupe Pineda - Historia de un amor
http://www.youtube.com/watch?v=KtE_yEFah5s&feature=related


mercoledì 27 giugno 2012

Pasta alla carlofortina della coccia Giovanna

Ecco, non è un errore ortografico, anche se a me ne scappano abbastanza spesso, nonostante controlli e ricontrolli ogni volta ogni cosa che scriva.
Proprio così: della coccia, senza la maiuscola e con l'articolo determinativo femminile.
Coccia qui non è un cognome, ma la romanizzazione di coach.
Giovanna (della cui amicizia mi pregio) è, appunto, una coach.
E che d'è?
Un'istruttrice di arti marziali?... Mhhh, quasi, anche se non a livello fisico...
Una sorta di personal trainer?... Beh, in un certo senso... ma anche qui non a livello di educazione fisica.
E che è allora, 'na santona? Ah, ah, no... Mamma Ebe non c'entra per nulla.
E poi un miscredente come me non si andrebbe mai a mischiare con i santoni, di qualsiasi direzione religiosa essi siano.
No, il coaching è, semplicemente (e cito con Wikipedia, così capite bene)
... una strategia di formazione che parte dall’esperienza di ciascuno e opera un cambiamento, una trasformazione che migliora e amplifica le proprie potenzialità per raggiungere obiettivi personali, di team e manageriali. È un processo che offre al cliente strumenti che gli permettono di elaborare ed identificare i propri obiettivi e rafforzare la propria efficacia e la propria prestazione. Il cliente che si affida al coach ha delle potenzialità latenti e tramite il coach impara a scoprirle e ad utilizzarle. Il coach dunque è un facilitatore del cambiamento, è una persona che stimola e indirizza le energie del cliente e lo aiuta a prendere consapevolezza delle sue potenzialità.
Detto così sembrerebbe una sorta di sostegno psicologico un po' superficiale e molto all'acqua di rose, qualcosa all'americana maniera, dove al posto di paziente si sostituisce sempre la parola cliente e dove l'impronta aziendalistica va spesso a braccetto con la  peggiore aura new-age...
Ma, a ben vedere, non è affatto così.
Il coach (cioè, l'allenatore, e stavolta la metafora sportiva è calzante) non corre per te e non può formare dal nulla un corridore; lui si limita a guidare le tue potenzialità, a farti capire cosa puoi fare per trattare al meglio un determinato obiettivo che ti sei prefisso da affrontare.
Ti fa vedere le capacità di cui non ti rendi conto, la forza che sprechi in direzioni non utili al tuo risultato e ti fa, soprattutto, capire, che ce la puoi fare.
Beh, niente male...
Allora famolo tutti 'sto coccio!...
Intanto, pe' nun sapé né legge e né scrive, ci facciamo una ricetta di coccia Giovanna, rubbata coll'occhi e donata all'umanità tutta:

 
Pasta alla carlofortina
Olive verdi
Olive nere tipo Gaeta
Capperi
Il tutto in uguale quantità. A persona, sono circa un totale di 70 g...
Tritare grossolanamente
In una padella far appassire in due cucchiai d'olio evo uno scalogno medio, o due piccini.
Non deve prevalere il gusto cipollaglioso, quindi regolatevi.
Aggiungere del cumino, il trito di olive e capperi, del peperoncino e far andare per un paio di minuti.
Unire quindi del tonno in scatola (e qui non risparmiatevi: prendetene uno di buona qualità e ci guadagnerete nel risultato).
Lessare la pasta. Noi abbiamo mangiato delle linguine ma io, il solito grezzo, preferisco i formati paccuti e ci ho dato giù di vermicelli. Fate vobis.
Quando è cotta, tenere da parte mezzo bicchiere d'acqua di cottura, accorgimento che vale per qualsiasi tipo di pasta si stia facendo: non scolate mai il tutto e, tanti saluti, via nel lavandino.
Vi potrà essere utile, così bella ricca di amido, per rendere più fluido il piatto e aiutarlo a mantecare bene il suo condimento..
Condire quindi con il succulento miscuglio che aspettava fremente e, coup de théâtre, unire un cucchiaio di pecorino grattugiato. Mescolare bene. Passare ora un filo d'olio evo a crudo e la buccia di un limone grattata al momento.
Ari-mescolate bene e...

 ... godetevi un intenso e  continuo orgasmo papillare...
Non so se riuscirò mai a focalizzare un obiettivo puntando sulle mie effettive capacità senza l'aiuto di una coccia, so solo che questo piatto fa dimenticare per un lungo festoso momento la caterva di ubbie che infestano come spettri la mia povera corteccia cerebrale.



Detto psicoanalitico del giorno:
Non trascorrere mai le vacanze con il tuo analista: è come fare sesso con la propria madre.

Oggi ascoltiamo:
Jefferson Airplane - Somebody To Love

http://www.youtube.com/watch?v=YIkoSPqjaU4

lunedì 25 giugno 2012

Crostata Cioccolavanda e... lavandini

Quando ti invitano a cena e fa caldo come in questi giorni non è che ti puoi presentare con un bel pandispagna farcito di crema chantilly, un bavarese o anche un tiramisù.
Dovendo attraversare Roma da una parte all'altra il rischio è quello di ritrovarsi con una confezione di botulino formato famiglia, il che non è proprio il massimo per completare la serata.
Allora via con dolci un po' più "secchi", che sopportino meglio le temperature sahariane e le lunghe traversate.
Allora via con una crostata, magari non la solita con la confetttura, ma con la crema al cioccolato.
E basta? Maddeché! Qui mica stamo a venne i fiori, a lellé....
No, qui i fiori se li magnamo. Se poi sono fiori di lavanda tanto meglio.
L'amore per questa pianta mi sta prendendo sempre di più. Tra un po' me la ritroverò dappertutto.
Intanto però sposiamola al cioccolato che, poverino, è tanto solo...
Prepariamo una pasta frolla, come ormai già sappiamo fare.
L'unica differenza è di unire un po' di fiori di lavanda nell'impasto.
Quindi:
300 g    farina
150 g    burro
100 g    zucchero (ma anche meno, penso che 80 g siano sufficienti)
2          tuorli
2 cucchiaini di fiori di lavanda alimentare.
Un pizzico di sale, acqua q.b.
Tritare i fiori di lavanda con un cucchiaio di farina e poi unitelo al resto e procedete nel modo solito.
Stessa accortezza nel breve smaneggiamento, stessa cura nel non far fondere il burro con il calore delle mani, stessa velocità nel formare una palla omogenea che metteremo a riposo nel frigo per la solita mezz'oretta.
Fa tanto caldo, signora mia...
Prepariamo la farcitura: crema al cioccolato come da ricetta, ma con qualcosa in più, e passa la viola. Anzi, la lavanda...

Crema al cioccolato modificata  
100 g    cioccolato fondente
50 g      zucchero   
25 g      farina
250 ml  latte
2 cucchiaini di fiori di lavanda alimentare.
3 cucchiaini di scorzette d'arancia candite tritate finemente
40 o 50 g di pinoli
1 noce burro
Preparare l'infuso di lavanda: far bollire il latte con i fiori profumati e lasciare in infusione per una decina di minuti, il tempo di scendere a comperare il cioccolato che v'eravate scordati di non avere in casa. 
Che distratti che siete...
Fondere quindi il cioccolato a bagnomaria (o nel microonde), aggiungere lo zucchero e la farina, stemperare con il latte filtrato, unire le scorzette tritate e i pinoli fatti tostare su un padellino antiaderente (devono appena scurirsi, quindi girateli spesso...).Far addensare a fuoco basso per 5 minuti. 
Togliere dal fuoco, aggiungere il burro e far raffreddare prima di utilizzare sulla frolla.
E qui viè er bello: il caldo di questi giorni non è il massimo per lavorare la frolla (figuriamoci per accendere il forno) quindi bisogna essere un po' sveltini a stendere metà dell'impasto in un cerchio con cui rivestirete la teglia.
Oddio, e qui si scioglie tutto!... Niente panico, prendete la teglia foderata di pasta e fatela riposare cinque minuti in frigo per far riprendere al burro la sua consistenza.
Quando sarà passata l'emergenza versare la farcia sul fondo di frolla, livellatela ben bene e preparate delle strisce di pasta con cui decorare la superficie aiutandovi con una rotella tagliapasta di quelle a zig zag e, quindi, arricciare i bordi e schiacciarli con le dita (o con i rebbi o il manico della forchetta, o arricciandola delicatamente, o pizzicandola con le dita, insomma: fate come ve pare!).
Ci siamo. Ora con un pennello da cucina bagnare con un po' d'albume la griglia di pasta frolla.
C'è chi usa il tuorlo diluito nel latte o nell'acqua, ma io trovo venga troppo scura.
Anche solo con una passatina di latte data velocemente a cinque minuti dal fine cottura va bene. 
E dall'empireo dei gourmet Maillard sorride beato...
Fate cuocere a forno caldo, 180° soliti, per una mezz'ora almeno.
Sfornare e far raffreddare bene prima di trasferire su un vassoio da portata (sennó la chiamavano pasta frolla, secondo voi?).

Oh, parbleu! Ma che dosi sono queste di Muccardo? Avanza sempre un pugno di pasta frolla... e che la vogliamo sprecare così? Un po' di lavandini ne possono sempre uscir fuori:


Poesia romana del giorno:
 
La tartaruga.
Mentre una notte se n'annava a spasso,
la vecchia tartaruga fece er passo più lungo
de la gamba e cascò giù
cò la casa vortata sottoinsù.
Un rospo je strillò: "Scema che sei!
Queste sò scappatelle che costeno la pelle...
_ lo sò rispose lei_ ma prima de morì,
vedo le stelle.
                                                              Trilussa

Oggi ascoltiamo:
Shocking Blue - Venus

http://www.youtube.com/watch?v=auoArgmzqN4&feature=related

domenica 24 giugno 2012

Tutti i colori del mondo

Bentornati...
La musica si è spenta e ognuno ha ripreso la sua strada, asciugandosi il sudore copioso di una giornata assolata e rovente.
Quanti di quelli che sfilavano ieri hanno compreso che è ora, adesso, di volere tutto?
Tutto quello che spetta non perché gialli, neri, donne o gay, ma in quanto cittadini tout-court?
Quanti di loro non chineranno più la testa all'ennesimo sopruso?
Fusse che fusse la vorta bbona... diceva Nino Manfredi.
Porto con me le immagini di una festa variopinta, chiassosa ed esagerata, come sempre, ma viva.
E quello che più m'è rimasto nel cuore sono immagini come questa:


Famiglie con bimbi a seguito, che partecipano senza imbarazzo e che non si spaventano di drag, orsi, trans o semplicemente dei tanti flamboyantes che affollano il Gay Pride.
A loro, soprattutto a loro, va il mio grazie, e senza alcuna facile retorica: perché sono anche loro, con la loro semplicità, naturalezza e disposizione alla diversità che ci stanno aiutando a costruire un mondo davvero  migliore.


Ho sognato un mondo
dove non c'è bisogno d'essere gay,
neri, disabili o donne
per sentirsi orgoglioso, ogni giorno;
dove "festa" sia la festa di tutti,
dove è la somma delle gioie di ognuno
a fare la gioia del mondo;
dove non ti si dica no
perché hai la pelle di un altro colore
e non devi rinunciare mai
a sentirti madre
per non perdere il lavoro
o non ti si dica di rischiare
anche la vita
per non perdere il lavoro.
Ho sognato un mondo
dove diritto non è favore,
tolleranza, indulgenza o concessione,
dove chi vuole fa quello che vuole
e crede in ciò che crede sia giusto,
senza ferire e senza imposizione.
Ho sognato un mondo
dove diverso significhi normale
perché è normale per ognuno
essere diverso da chiunque altro.
Ho sognato un mondo
migliore; l'ho sognato
ma voglio viverci adesso.

giovedì 21 giugno 2012

Caldo, genetica e stracciatella...

Che caldo tropicale! Già non se ne può più, e nemmeno siamo a luglio!
Che ne sarà di me? Mi scioglierò in una pozza di sugna e sudore, una sorta di Valdemar anni Duemila.
Poverammé...
Mi piace sempre scherzare sul fatto che i miei genitori biologici potessero essere un esule russo e una cuoca sarda... Chissà qual'è la verità... Anche se poi, lo so benissimo, ai fini della mia vita reale questo non conta affatto.
I miei genitori sono stati Elena e Dandolo. E basta. 
I geni, casomai, spiegherebbero solo le mie russità e sardità, come fossero delle qualità innate, cosa scientificamente impossibile, alla faccia di tanti romanzetti d'appendice e telenovelas sudamericane circa la famigerata e risibilissima "voce del sangue". Una boiata micidiale buona solo per imbastire trame di basso livello...
Eppure non so spiegarmi perché amo il clima rigido e le distese pianeggianti di betulle, o perché mai ogni volta che qualcosa mi riporta alla mente" l'orma degli dei" (1) uno struggimento speciale mi scuote l'anima.
Perché gli accenti suadenti della lingua russa e la dolce scabrosità de sa limba mi facciano risuonate come dei diapason certe corde intime che collegano il cuore, la mente e le sacche lacrimali...
Vabbè, che esagerato...
Tutto questo per dire che certi caratteri sono sì genetici ma altri si acquisiscono per imprinting, assimilandoli nella crescita.
Non si spiegherebbe altrimenti come mai io abbia nel carattere e nei modi di fare elementi che riportano senza dubbio ai miei genitori adottivi.
Tanto per dire: sono accomodante e comprensivo come lei e amo parlare a voce alta senza ragione come lui.
Quando qualcuno mi fa: "Aho, sei tale e quale a tu padre quando fai così!" rimango sempre sorpreso, ma poi un sottile orgoglio mi pervade: anche in queste piccole cose, dei minuscoli tasselli magari senza importanza, loro mi vivono dentro e li sento ancora con me.
È il segreto della memoria...
Tutto questo per dire: uh, che caldo, faranno almeno quaranta gradi all'ombra. Qui ci vuole proprio una bella stracciatella! Che c'è di meglio, con 'sta temperatura infernale, di  una tazza di brodo bollente, che concili il calore interiore con quest'aria rovente?
Sì, una bella tazzona di brodo caldo caldo, una deliziosa stracciatella, proprio quelle che tanto amava papà Dandolo (2).
Tranquilli, sono un folle innocuo, di quelli che parlano col suo demonietto interiore (vero,  Leppagorre?), che sono un po' sfasati e fuori dal mondo. Ma non sono mica pericoloso!... Così, almeno, pare...
Quindi, sfatando l'assioma che in casa di un single non si possa trovare del brodo se non fatto col dado (chissà perché, poi: troppo impegno e troppa fatica? Bah...) eccomi con un bel tazzone del prezioso sugo, avanzo di un lesso di qualche sera fa e preparato in nemmeno mezz'ora, grazie alla mia fida amica Pentolappressione.
E siccome se bisogna farla sporca bisogna farla per bene, aspettare le 12 o le 13, 13 e trenta, quando il sole sta a picco e affacciarsi alla finestra ci farebbe sciogliere come l'omino di burro.
Per ogni persona occorrono:
Una tazza di brodo (ma questo lo sapevamo già)
un uovo
un pizzico di noce moscata
un pizzico di sale
due cucchiai di parmigiano
due cucchiaini di succo di limone
la scorza grattugiata di 1/4 di limone
un po' di pepe
E basta? Ma io lo dico sempre che le cose più bbone sono anche le più semplici...
Filtrate il brodo con un colino e, intanto che riprende il bollore (pure lui...) preparare la stracciatella:
sbattere l'uovo in una tazza, aggiungere gli altri ingredienti e mescolare bene.
Bolle? Bene: versare il composto nel brodo e con una forchetta mescolare velocemente per far rapprendere l'uovo in grumi (gli stracci, da cui il nome) piccoli e sottili.
Non deve assolutamente fare i mallopponi, sennó che facciamo: la frittata lessa?


Questo piatto è tipico del pranzo di pasqua romanesco o, più genericamente, dei pranzi primaverili, quando ancora fa freddo e il calore di questa delizia riscalda l'anima e pure er gargarozzo.
Ahhh, ce voleva propio!... Avrebbe detto Dandoletto, mangiando brodo e sudore in una calda, rovente, giornata d'estate.

Detto romano del giorno:
Bruno, bruno, tanto per uno.

Ossia tant’a ttesta, da cui il detto “fare alla romana”.

Oggi ascoltiamo:
Gabriella Ferri - Nina Se Voi Dormite

http://www.youtube.com/watch?v=7Xh6RV58rdk&feature=results_video&playnext=1&list=PL6C600841F006C9F7

Anche noi romani abbiamo avuto la nostra Edith Piaf, la nostra Amália Rodriguez, la nostra Umm Kulthum, la musa e l'interprete di quello che comunemente si dice romanità ma, in fondo è solo questione di parole, di suoni, d'atmosfere...
Troppo presto dimenticata, ma poderosa, verace, sincera. Romana fino al midollo.

Note
(1) Guardate la cartina della Sardegna: non sembra proprio l'impronta di un piede? Con l'Asianara a far da alluce e il Campidano come calcagno... L'orma che sul Mediterraneo lasciarono gli dèi...

(2) No, non è che fosse l'ottavo nano: quello casomai è l'uomo di plastica...
E neppure un gerundio vagamente osceno con aggiunta enclitica...
Il suo era, invece, un nome tipicamente romano, di quelli antichi che non si usano più.

mercoledì 20 giugno 2012

After Eight?... Nine!

Non c'è che dire: il connubio tra la menta e il cioccolato è uno dei più suadenti e interessanti per le papille di un goloso.
Freschezza e corposità che si rincorrono, s'abbracciano e stanno così, stretti stretti, come due innamorati sulla spiaggia.
Carucci!...
Eh sì, è da tanto che la corteggio, le giro intorno, provo a farla entrare nel mio enturage di sfiziosità, nel mio harem di torte collaudate che posso fare anche senza ricetta davanti.
Ma le varie ricette in rete che riportano la torta ciocco-menta non so, mi paiono un po'... sbilanciate.
Lo so, non sono mica un pasticcere, ma se leggo che per 200 g di farina qualcuno mette 300 g di zucchero mi insospettisco...  "È piaciuta a tutti... " . E lo credo: stanno ancora in coma diabetico...
Ah, ah, a parte gli scherzi. Mi piace prendere spunto, provare, osare in dosi e accostamenti.
Ecco ciò che mi era venuto in prima battuta:
 


Una Quattroquarti troppo densa, troppo dolce, troppo piena di sé.Ho pure avuto il coraggio di mettere i pezzetti di cioccolato nell'impasto e farcirla con della crema al cioccolato...
E quella ganache tutta attorno, poi...  Scostumata!!! Avrebbe detto la Sora Cecioni.
E quest'altra? Con una compattezza da spaurire il cucchiaino, e una glassa che pare una colata di fango dopo un'alluvione...


No, no, via, via gli orpelli e le dosi sballate, via!...  Qui ci voleva qualcosa di diverso.
Confrontare almeno otto ricette diverse, valutarne le proporzioni, provare.
E allora eccoci qua. Alla fine l'esperimento:

Torta Nine ciocco-menta
250 g    farina 00
150 g    burro
3           uova
300 ml  sciroppo di menta
180 ml  latte
1 bustina di lievito
Naturalmente io che ho il colesterolo a go-go mi sono limitato (strana parola, che mai vorrà dire...) a dosi divise per tre, adatte al mio microstampo da 14 cm di diametro...Sigh...

Sciogliere il burro, unire il latte e lo sciroppo di menta.
Aggiungere le uova (al solito una per una, facendola assorbire bene prima di aggiungere la successiva).
Unire la farina setacciata assieme al lievito.
Via nello stampo a cuocere a 180° per 40 minuti.

Ecco, quello che stonava era lo zucchero presente nelle altre ricette: semplicemente non ci sta.
Se vi inserisco uno sciroppo di per sé iperdolce sapete cosa succede a chi, povera stella, mangia una fetta di quella torta? Una botta di glicemia da ricovero immediato. O, più semplicemente, la sensazione di mandare giù un chilo di zucchero tutto insieme, un sapore stucchevole. In quei casi l'aroma della menta va a farsi benedire. Quello del cioccolato, poi...
Bene, la nostra tesora sta qui, bella fresca e profumata:
 

Ma che la vogliamo lasciare così, nuda nuda? Giammai! Stella de casa...
Abbandonata la strada della ganache (panna e cioccolato assieme una bomba!), riproviamo con una semplice glassa che almeno rimanga morbida e lucida:

Copertura al cioccolato fondente
75 ml  acqua
75 g    zucchero
200 g  cioccolato fondente
un cucchiaio di panna da cucina
una noce di burro
Far bollire l'acqua con lo zucchero per circa tre minuti.
Deve addensare senza colorirsi. A piccola bolla, dicono gli esperti.
Fuori fuoco aggiungere il cioccolato a pezzetti, la panna, il burro e mescolare bene.
Se dovesse risultare troppo densa stemperare con un po' di latte per dare la giusta fluidità.
Far intiepidire e poi versare sulla torta, poggiandola su una gratella, partendo dal centro e muovendosi verso i bordi.




Se vi avanza della glassa non temete, saprete bene come utilizzarla nei giorni seguenti, miei famelici tigrotti. Io ci ho vestito della frutta un po'... sciocca.
Ma ci potete bagnare delle crêpes, o irrorarvi del gelato...
O irrorarvici voi...
Aho, io nun v'ho detto gnente, eh?...

Detto romano del giorno:
Grassezza fa bbellezza.

Alla faccia degli standard estetici moderni. Tiè!

Oggi ascoltiamo:
Sweet - Love Is Like Oxygen

http://www.youtube.com/watch?v=FTlM6OBRc8w&feature=related

martedì 19 giugno 2012

Paste dal fondo

Dal fondo degli abissi?
Dal fondo dell'inconscio?
Da quella parte di mondo o della mente che spaura per il buio perenne, per quello che vi si è sedimentato nei secoli e  in una vita, per le minacciose presenze che vi si possono nascondere, pronte ad aggredire e a fare a pezzi?...
Niente di tutto questo.
Mi riferisco, più banalmente, al fondo di cottura, quel saporito intingolo che resta dopo la cottura di un piatto di carne.
Avete preparato il vostro spezzatino, e nonostante abbiate fatto restringere il sugo di cottura ve ne rimane un po'...
Avete preparato un bell'ossobuco alla milanese, ma avete esagerato con il brodo (uh, uh...) e ora vi ritrovate un bicchiere bello colmo di squisito nettare di ciccia...


Che fare? Noi figli della cultura del riciclo e del riuso degli avanzi, siano essi un abito smesso o il sugo che resta dopo un pranzo a base di pasta, non concepiamo neppure che quel bendiddio prenda la via del mare.
Lo guardiamo, lo rigiriamo, l'annusiamo, stiamo un po' a pensare non cosa farne ma quanto altro aggiungervi, e via, scatta la molla.
In questo caso una molletta... Capirai, tutto pronto, carino carino, da scaldare e tuffare sulla pasta. Sai che sforzo.
Non siamo mica nella cucina di Versailles dove i cuochi preparavano a getto continuo pranzi luculliani per quei perdigiorno della corte, mandando a ramengo quintali di cibo (o magari ripropinandoglieli in delicati pâtes...).
Mettete a cuocere la pasta, del taglio che preferite: pappardelle, spaghetti, penne rigate o bomboloni, fate voi.
Se il fondo dovesse essere un po' liquido aggiungetevi mezzo cucchiaino di fecola sciolto in mezzo bicchier d'acqua e portare a ebollizione per farlo addensare.
Se non vi formalizzate aggiungete un cucchiaio di panna da cucina, o un paio di cucchiai di latte.
Pepate, grattatevi... no, non le pudenda, maleducati, vabbè che non siamo a Versailles (dove pure...) ma almeno... no, grattatevi la scorza di poco meno di mezzo limone, e fate insaporire.
La pasta è cotta, vero? Scolate e, rimettetela nella pentola di cottura, schiaffandogli sopra il sughettone nostro bello.
Grattatona di parmigiano, veloce girata e via... nei piatti:




Ah, nel caso del fondo d'ossobuco anche una spolverata di prezzemolo tritato ci sta tutta.
Tirate le tende per fare un po' d'atmosfera, accendete una tealight accendete lo stereo con il brano di Jeff Buckley e godetevi la semplicità della vostra pasta ascoltando quella meravigliosa voce d'angelo.
Perché? Come perché, ma perché voi valete, cacchio!

Detto romano del giorno:
Chi sse perde pe’ ttroppa sapienza, chi pe’ ttroppa ignoranzità.


Oggi ascoltiamo:
Jeff Buckley - Hallelujah

http://www.youtube.com/watch?v=WIF4_Sm-rgQ&feature=related

lunedì 18 giugno 2012

Somewhere, over the rainbow...

- E se lo provassimo?... 
No, no, e no!
- Ma se poi venisse qualcosa di decente ti mangeresti le mani...
Ma che davero davero? Il pane al microonde? No,no e ancora no!
- Vabbè... certo che un panino in 5 minuti... io ci proverei. Non lo vuoi chiamare pane? Chiamalo piripanzo,  cotrufio, zancredio, o smarfonio, se ti fa stare a posto con la coscienza. Però...
Lo so, quel mostriciattolo di Leppagorre mi conosce bene, sa far leva sulle mie debolezze, sulla mia curiosità, sul mio orgoglio.
La forza delle parole, delle etichette...
Sono stato ostile al caffè "all'americana" solo perché, ostinandomi a chiamarlo caffè, ed avendo ben in mente il nostro espresso, mi rifiutavo di dargli la stessa dignità.
Poi, considerandolo "un'altra cosa" ho imparato ad apprezzalo, a capirne l'aroma delicato, cercando nei momenti di pressione la maggiore carica di caffeina ed oggi, finalmente, sta alla pari delle mie preferenze in quanto a bevande calde.
Oggi sono cresciuto anche per queste piccole cose.
So che quei due tipi di caffè sono cose diverse, come può esserlo un budino da un ciambellone, anche se fatti con gli stessi ingredienti.
Non dico che sono diventato più tollerante, che è una parola che sa tanto di spocchiosa e benevola concessione del diritto d'esistere piovuta dall'alto di una pretesa superiorità.
Ma sono più rispettoso delle differenze, della varietà di cose che l'essere umano ha imparato a fare.
E ad essere...
E che quelle diverse dalle nostre non sono mai da rifiutare aprioristicamente, ma almeno da conoscere.
Nessuno vi costringerà mai ad assaggiarle. Ma almeno saprete cosa sono.


Sabato prossimo a Roma sfilerà il Gay Pride. Pensatela come volete, come credete, come vi sentite.
I diritti di una minoranza sono i diritti di tutti, e solo tutelando tutte le diversità di vissuto si può tutelare la libertà di tutti noi.
Ecco perché starò insieme ai meravigliosi genitori dell'associazione Agedo, tra i palloncini delle Famiglie Arcobaleno, tra le piume egli strass delle drag più eccentriche e fantasiose, tra tanti, tantissimi uomini e donne "insospettabili" che amano quelli come loro.
Nel frattempo provo a fare 'sta specie di "pane"...

200 g   farina
20 g     fecola
1          uovo
100 ml latte
3 cucchiai di miele
1/2 dado di lievito di birra
1 noce di burro (una decina di grammi)
un pizzico di sale,
spezie a piacere in polvere (cannella, chiodi di garofano, zenzero, quelle che preferite, oppure niente...).
Mescolate farina e fecola, aggiungere il miele, l'uovo sbattuto al volo, il lievito sciolto nel latte, il burro, il sale e le spezie. E qui entrano in gioco LORO:


I coloranti alimentari. Ne avevo solo di quelli liquidi e non volevo esagerare, quindi ho diviso l'impasto in quattro ho messo in ognuno dei panetti un cucchiaino di colorante: rosso, giallo, verde e blu.
Quindi ho amalgamato bene il tutto ottenendo una pasta morbida ed elastica.
Ho poi divisto ulteriormente ogni panetto colorato in quattro e ho formato delle strisce di circa 15 com di lunghezza, appiattendole un po'. Ho inumidito leggermente la superficie delle strisce e le ho sovrapposte alternando i colori in modo dverso per ogni panino.
Ho preso queste strisce sovrapposte e, torcendo il tutto su se stesso, ho formato dei paninetti:


A questo punto si cuoce al microonde per 5 minuti a 500W, ruotando ogni tando il supporto di cottura. Ecco i miei "panini pastello" :



L'interno si presenta così:



Con questa ricetta partecipo, nella sezione dolci, al contest di "Pan per focaccia"


Oggi ascoltiamo:
Queen - I Want It All

http://www.youtube.com/watch?v=1pm4fQRl72k&feature=results_video&playnext=1&list=PL4CC6CCF65DF140CE

Detti gay del giorno:
Non esiste la diversità... è una parola creata dall'uomo per potersi nascondere e non dover affrontare un'altra parola ben più terrificante: ignoranza. (Maurizio Domenighini)

L'omosessualità è contro natura, come camminare sull'acqua, morire e risorgere, moltiplicare il cibo e rimanere incinta da Vergine. (Davide La Rosa)

Mi chiedi se è giusto che gli omosessuali si sposino?
È giusto! Perché mai loro dovrebbero salvarsi dalla disgrazia di un matrimonio? (Davide Capelli)

Non Capisco perché la società di oggi preferisca vedere due uomini con un fucile in mano piuttosto che vedere due uomini tenersi per mano, ognuno deve avere il diritto di amare chi vuole! (Piergiorgio Paterlini)

Non sono gay ma vorrei esserlo per il solo desiderio di far incazzare gli omofobici. (Kurt Cobain)

Se le persone fossero abituate sin dall'infanzia a vedere tutti i tipi di amore, ci sarebbe sicuramente meno omofobia nel mondo. (Francesco Iannì)

Davanti a migliaia di fedeli a Fatima il Papa ha detto: "i problemi dell'umanità sono i gay, le unioni di fatto, l'aborto...". Ed io che pensavo fossero guerre, inquinamento, mancanza di risorse, malattie, fame e povertà. Forse è colpa mia che non ho studiato teologia. (Anonimo)

Se l'omosessualità è una malattia potrete chiamare al lavoro dicendo: sono ancora gay, non posso lavorare! (Robin Tyler)

La natura è omosessuale, la cultura organizza la sopravvivenza dell'umanità. (Dominique Fernandez)

Non c'erano anormali quando l'omosessualità era la norma. (Marcel Proust)

Essere bisessuale raddoppia immediatamente le tue possibilità al sabato sera. (Woody Allen)

Mi è sempre sembrata un po' inutile la disapprovazione dell'omosessualità. È come disapprovare la pioggia. (Francis Maude)

La cosa per sé stessa non è né bella né brutta. Diventa brutta se fatta malamente. (Platone)

Il buco con la ciccia intorno

Ovvero: Ossobuco alla milanese.

Eh già: ho avuto il sospetto che il titolo del post potesse avere un risvolto vagamente (ma così, giusto una punta, eh?) malizioso e un sottile, sottilissimo doppio senso...
Ma poi ho mi son detto: Muccardì, ma che vai a pensare? Ti pare che stiano tutti lì, sconvolti e trasaliti a dirsi: ma che scrive questo qui?  Con quello che gira nella TV generalista, figli miei...
Ecco, faccio tanto l'open-minded e poi il mio background piccolo piccolissimo borghese salta fuori a ogni piè sospinto e mi dà guizzi di pudicizia e di pruderie. Proprio io, poi... Figuriamoci!...
Lo so, è difficile liberarsi dai retaggi e dai condizionamenti della nostra educazione.
In una parte di noi resta una sorta di imprinting che dura, nonostante la nostra evoluzione, tutta la vita, e col quale dobbiamo fare i conti continuamente.
Non è né un bene e né un male: è così, basta saperlo e reagire con il lume della ragione.
Quando c'è, 'sta bella merce preziosa...
Rimane il fatto che, se ci avete pensato, è perché siete dei porcelloni.
Bravi! Era solo un test e l'avete passato.  Ora siete pronti per nuove, eccitanti avventure...
Del tipo cucinare un grosso, grasso, gustoso ossobuco. E mica greco, eh? Ma come da ricetta milanese DOC.
Grazie all'ispirazione di GialloZafferano mi son detto: perché non provare con la mia amica, preziosa e fedele? LEI:



Eh sì: i fidanzati vanno e vengono. Passano e se ne vanno portandosi via tutto quanto avevavo diviso con voi (magari vi staccano pure dal soffitto il lampadario che avevate comprato insieme lasciandovi solo dei tristi fili a penzoloni).
Sì, tutto viene e va, tutto è effimero e transeunte. Passeggero e vano...
Ma LEI no: lei sta là e aspetta. Nella sua bella bocca grande potete metterci chili di patate, tocchi di spezzatino, blocchi monumentali di bollito e lei, sgnìcchete, sgnacchéte e fiiiiiiiiiiiiiiiiii.... cucina tutto a dovere, come volevate voi.
Bella de casa! Quasi quasi me te sposo...
Vabbè, va: per il nostro ossobuco servono (porzioni da single, senza rammarico ma con placido e sereno orgoglio):
1 ossobuco di manzo
- Ma va? Pensa che mi credevo si facesse con la carne tritata...
Leppagorre, pussa via. Qui non devi inventare niente, è già tutto scritto. Se apri bocca ancora ti ci faccio fare compagnia per il tempo che serve...
- Uffa, che permaloso...
Quindi, dicevo:
Ossobuco... Mh... bene, bravo... zitto, così.
1 spicchio d'aglio
1 cipolla piccola (a me è piaciuta media ma, si sa, esagero sempre...)
1 noce di burro (una decina di grammi circa)
due bicchieri di brodo (ma anche dell'acqua con un pizzico di sale va bene. Pellegrino stavolta avrà una calma indulgenza verso le vostre possibilità da single in cucina...).
sale, pepe, 1 cucchiaio d'olio evo, 1 chiodo di garofano, due bacche di ginepro
1 bicchiere di vino biano secco
farina qb
un bel ciuffo di prezzemolo, scorza di mezzo limone.

Orbene, direi che se decidiamo di utilizzare LEI possiamo procedere direttamente facendovi appassire la cipolla nel burro e l'olio, con l'aglio come cicisbeo.
Dolcemente, serenamente, a fuoco basso senza esagerare. Lo sapete, vero? La cipolla, soffritta e annerita diventa amara e indigesta, alla faccia di Maillard buonanima...
Tagliare la pelle dei bordi del nostro ossobuco. Se non intaccherete la pellicina che lo circonda, infatti, durante la cottura tenderà ad arricciarsi e non cucinerà a dovere.
Sì, mi verrebbe da dire: circoncidetelo!... se poi non vi venissero in mente altre scene cruente...
Fate rosolare 'sto pezzo di stinco (non santo) da una parte e dall'altra.
Bene, ora irrorate col vino bianco e fate e evaporare l'alcool. Basteranno pochi minuti.
Salare, unire le spezie, il brodo (sì, il brodo... lalléro!) e cucinate per...
Qui viene il bello: se cucinato in tegame l'ossobuco necessita di circa un'ora e mezza per diventare tenero e appetitoso. Altrimenti vi resterà una legnosa e immangiabile mano morta che vi farà sfigurare per il resto della vostra carriera culinaria...
LEI, la mia compagna amorevole e sbuffante, chiede solo venti minuti per darvi un ossobuco tenero e saporito.
Venti, non so se mi spiego... Nemmeno il tempo di una sveltina in ascensore... Mh, mh...
Allora, a fine cottura preparate quella che i meneghini chiamano la gremolada, ossia un trito fine di prezzemolo al quale unirete la scorza grattugiata di mezzo limone e che verserete sull'ossobuco quel tanto per farlo insaporire.
Pochi minuti, un paio appena.
Ora tirate fuori la sleppa, adagiatela su un piatto e cospargetela del fondo di cottura denso, saporito e profumato...


Una gioia per il cuore, e per il gargarozzo, va da sé...

Detto milanese del giorno:
La pisa senza pet l'è cumè un viulin senza l'archet

Una pisciata senza un peto è come un violino senza l'archetto.
Poi noi romani saremmo sguaiati e volgari, eh? Fratelli d'Italia...

Oggi ascoltiamo:
Ornella Vanoni- La Rosa Spogliata (A Rosa Desfolhada)

http://www.youtube.com/watch?v=HoO_FlpkeM0

domenica 17 giugno 2012

La Wanda

No, non si tratta di Lei:


La Wandissima Osiris, con tanto di scale, levrieri e boys in tight bianco...
Sentimentaaal... come un bacio perduto/ sentimental, come un dolce segreto./ sentimental, come un sogno incompiuto,/ come questo saluto che il cuore sa dar, sentimentaaal..... Indimenticabile!
E neppure di Lei:


La Wanda Gastrica, folle ed eccezionale.
Delle Drag Queen si dice di tutto e non si arriva mai a niente.
Sono effimere e sfuggevoli, eppure così sfacciatamente vive e presenti.
C'è chi le vede come fenomeni della natura, come delle farfalle dotate d'un paio d'ali luccicanti e colorate, che nascono ogni sera solo per apparire su un palco.
C'è chi le vede solo come scimmiottamenti della femminilità glam più stereotipata, quella esasperata dalla cultura pop e dall'immaginario maschile.
C'è chi invece le vede come delle performer, delle artiste dello stupore e della gioia di vivere, anche quando seguono il playback del brano più melanconico di Dalida.
Come per ogni artista che sale sul palco noi vediamo solo il sorriso, la fisicità luccicante l'esibizione del suo momento ma non la fatica del bruco, la cura e l'attenzione che tutta questa trasformazione quotidiana comporta.
E in più, spesso, anche l'umiliazione di essere visti come delle anomalie...
Un evviva per tutte loro, per tutte queste fate in giro per il mondo a bordo della loro Priscilla, per la  loro prorompente Favolosità, i loro colori e la loro voglia di esserci e di divertire.
Assieme a La Wanda Gastrica abbiamo pure: Eva Baldoria, Marchesa Pomponia, Magdalene Strass, La Trave nell'Occhio, Lucrezia Orgia, Vanessa Incontrata, Emma Dalla Via, Naomi Gambebelle, Berta Bertè, TekeMaya, Infida Pupattola Boccolos, Penelope Please, Priscilla Splendor, Fiorella Della Garbatella, Silvana della Magliana, Dolores Van Cartier, Sintetika, She Wulva, Deliria e Velena...
I nomi delle Drag sono spesso anch'essi un'opera d'arte...

La mia Wanda, più semplicemente, è questa:


Una torta al cacao con crema chantilly alla lavanda e copertura di zucchero al velo.
Eh sì, Leppagorre ha colpito ancora, basta distrarsi un attimo e si ricade nel dolce gorgo.
Sempre meglio che essere presi dalla smania del gioco come Dostoevskij...
Quindi, in primis, preparare un pandispagna al cacao.
Io l'ho fatto da 2 uova per il mio stampo ipoglicemico da 14 cm... ma per un dolce da 24 cm di diametro la dose da 5 uova è perfetta.

Crema Chantillavanda
200 g crema alla lavanda
150 g panna montata
Solita osservazione: per un pandispagna da 24 cm 500 ml di pasticcera alla lavanda e 400 ml di panna montata.



Ma adesso che la mia cavia Elio sta lontano da Roma mi toccherà magnarmela tutta io...
Uh, che fatica.... Eh, sì, sono sacrifici che bisogna compiere, e farlo con coraggio e stoicità...

Tiè! Alla faccia di chi ci vuol male!

Detto romano del giorno:
È ppiù la spesa che l'impresa.

Spesso è più lo sforzo che il risultato finale.

Oggi ascoltiamo:
Billy More - Up & Down (Don't Fall In Love With Me)

http://www.youtube.com/watch?v=x9wNURjufjw

Un ricordo per Billy More...


sabato 16 giugno 2012

In cosa credi?...

Fukushima.
Un'ondata di melma, subdola, feroce, improvvisa, aggredisce un paese. Scende di distruzione, sofferenza, morte...
Gino De Crescenzo (Pacifico) di fronte alle scene che si susseguono nei notiziari rimane come tutti noi inerme, basito e, perché negarlo, anche incazzato. Si chiede le stesse cose che ognuno di noi s'è chiesto almeno una volta di fronte a scempi come questo: perché?... perché?...
Senza scomodare Voltaire e il terremoto rovinoso di Lisbona, né Leopardi e la lava affamata del Vesuvio.
Senza ricorrere a secoli di filosofia senza risposte...
Una canzone può nascere d'impulso ed essere viva, uticante, profonda come se fosse stata architettata per anni a tavolino, tenera e bella come solo sa essere la poesia.
In cosa credi è una domanda dolorosa che una serie di risposte coraggiose:
Credo alla stranezza del tutto,
all’ingegnosa perversione
che ci ha messo al mondo certi
ad imparare questa confusione

Lo smarrimento di fronte agli sconvolgimenti grandi e piccoli dell'esistenza non trova rifugio metafisico.
La nostra vita è qui, è adesso, e bisogna viverla, senza tentennamenti.
Facendosi scudo di piccole cose, di gesti quotidiami, di parole, di affetti.
Le nostre piccole armi.
Resistere come ginestre sul dorso della rupe che ci frana accanto. Ma vivere.
Ed essere consapevoli come Sisifo di quanto tutto sia vano, fragile, breve, fuggevole.
Eppure, nonostante tutto, meraviglioso.


Oggi ascoltiamo
Pacifico con Manuel Agnelli - In cosa credi (le nostre piccole armi)
http://www.youtube.com/watch?v=bvdSDbolw5o&feature=endscreen&NR=1

In una valle a due passi dal mare
ora galleggia un paese
in una minestra scura di ruote
di corda di navi elicotteri e case
Lo vedi che non c'è preghiera,
che non c'è muro forte abbastanza,
e non c'è altezza né distanza che basti?
E allora in cosa credi?
Non hai una frase una parola chiave,
nn altare per inginocchiarti,
una statua antica da baciare?
Credo alla stranezza del tutto,
all’ingegnosa perversione
che ci ha messo al mondo certi
ad imparare questa confusione.
Non credi che ci sia un momento
di sfuocata comprensione
al primo suono emesso da tuo figlio,
alla perdita di un genitore?
Credo alla stranezza del tutto,
all’istante fatale in cui tutto si compie,
che sia nascita, amore, morte o incontro
E le parole, tutte questa parole,
questi libri di avventura e amore,
sono tetti di paglia, rifugi, trincee
per resistere a tanto insistito dolore.
E gli abbracci, i sorrisi, e le candele accese
i pochi mezzi di cui disponiamo,
le nostre piccole armi.
E allora in cosa credi?...
Non hai una frase mandata a memoria
più duratura di qualsiasi legge?
Credo che scivola e sfugge
e quanto è breve lo capisci alla fine.
È una sfuriata e non resiste appiglio
e ricomincia tutte le mattine.
Si vive, solo questo, si vive
e non c’è altro da fare,
e dai forza a chi cade in salita
e dolcezza a chi vuol farla finita.
Ogni giorno è inaspettato
e tutto arriva senza spiegazioni,
e ti confonde con le emozioni
E ti commuove e non dà soluzioni.
E le parole, tutte queste parole,
questi libri di avventura e amore,
sono tetti di paglia, rifugi, trincee
per resistere a tanto insistito dolore.
E gli abbracci, i sorrisi, e le candele accese
i pochi mezzi di cui disponiamo,
le nostro piccole armi.
E le parole, tutte queste parole,
queste nuvole di nebbia e fumo
sono prati di neve, torrenti di poggia,
momenti di ombra e respiro.
E i sogni, le carezze ai figli addormentati
le poche cose di cui disponiamo,
e nostro piccole armi.
In cosa credi… In cosa credi...


P.S. La descrive molto bene Walter Gatti qui, nel suo articolo.

Monti di lavanda

Ovvero: Crema pasticcera alla lavanda.

- Hai visto Leppagorre? Siamo al Rione Monti(1), dove c'era quel bel negozietto che vende la lavanda di Venzone.
Ora possiamo finalmente prenderne un po' di quella alimentare, sei contento?
- Mica tanto...
E te pareva... Chissà da chi ha preso, eh?
- Eh, ma pensa a quante belle cosette ci potremo cucinare, no?
E qui, appena sente la parola "cucinare" si ringalluzzisce tutto, frizza come lo spumante, scoppietta come un fulmine domestico...
"Cucina" per il mio demonietto è come "pittura" per quello di Van Gogh, come "versi" per quello della Cvetaeva, come "posizione dell'ostrica viennese" per Ilona...
Insomma, a farla breve: entro in un'oasi di profumo dolce e rassicurante, in una nube lilla(2) che riposa gli occhi e il cuore.
Chi pensa che l'aroma di lavanda abbia solo funzione di antitarme o sia alla base di profumi demodé deve entrare qui e chiudere gli occhi. Ecco: una distesa immensa pettinata dal vento, l'odore di mille e mille fiori portato dalla brezza...


... poi aprirli, e sentirsi invadere da tanta delicatezza.
Prendo due sacchettini di lavanda e continuo il mio solito itinerario da "turista nativo" che tanto amo.
E adesso?...
Se ci facessi una crema? La cosa più semplice del mondo.
Ogni crema in fondo è formata da elementi liquidi (latte o succo di frutta), elementi addensanti (farina o fecola), aromi e, nel caso della pasticcera, le uova.
Vi viene in mente niente?…
Se aromatizziamo l’elemento liquido aggiungiamo altre variabili alla nostra equazione.
E poi noi... siamo cosììì, dolcemente complicatiii...
Quindi:

250 ml   latte       
60 g       zucchero
30 g       farina           
2            tuorli   
2 cucchiaini di lavanda essiccata.

Far bollire il latte con la lavanda e lasciare in infusione per circa 5 minuti.
Battere come di norma i tuorli con lo zucchero e aggiungere quindi la farina.
Stemperare con il latte e far rapprendere a fuoco basso mescolando sempre fino ad addensamento.
Se la volete più barzotta, ossia che rimanga più soda, utilizzare, invece dei due tuorli, un uovo intero.
Stesso procedimento.


Quella di soli tuorli avrà un sapore più deciso di uova e una consistenza più cremosa.
Quella con le uova intere, grazie alle proteine dell'albume che, assieme a quelle del tuorlo imprigioneranno in una rete solida il liquido (nel nostro caso il latte), resterà un po' più sostenuta e dal sapore più delicato.
Questione di gusti, di utilizzo e di demoni interiori...
Devo dirlo? Io l'ho dovuta provare in tutti e due i modi, altrimenti non avrei avuto pace.
La differenza è sottile, e di sicuro si perderebbe se la crema non venisse consumata al cucchiaio ma impiegata per farcire torte o bigné.
Leppagorre... cos'è che hai in mente adesso?...


Note
(1) Tra la stazione Termini e il Colosseo, costeggiando via Cavour, per intenderci.


(2) Si chiama infatti: l'Angolo Viola, in via Baccina 13.
E un sito che esordisce con: "In un termine polinesiano, moemoea, che in italiano si traduce in “sogno”, si racchiude la passione di Maurizio e Tiziana Candelori per la lavanda..." come si fa a non amarlo?

Stornello romano del giorno:
Fior de lavanda,
chi cià li sordi in borza sempre conta
chi cià l'amore in core sempre canta

Oggi ascoltiamo:
Pacifico con Malika Ayane - "L'unica cosa che resta"

http://www.youtube.com/watch?v=lbz0aZIoEs4

venerdì 15 giugno 2012

Curcugiones, Cozzoneddos e Iscazados


E tanto lo sapevo: non a caso le spezie venivano dette droghe. Creano dipendenza...
Quindi, cosciente e impavido (una volta tanto) ho iniziato davvero a metterle dovunque.
E qual'è la mejo del momento? Ma lei: sora curcuma!
Ahio... e che ci hai fatto adesso?...
Beh, mentre l'altro giorno mi trovavo a rifare i culurgiones mi sono accorto di aver fatto della farcia di troppo (che strano, eh?...) e allora mi son detto: ma se anche la scorza di questi bei ravioli l'arricchisco con della curcuma che può mai succedere di male? 

Ma figuriamoci: al limite, una improponibile ciofeca, qualcosa da mangiare ad occhi e naso chiusi, senza fiatare (è successo anche questo, è successo eccome...).
Detto, fatto: mi son messo di buzzo buono e ho preparato un secondo panetto di pasta:

100 g   farina di semola di grano duro
30 ml acqua (o giù di lì)
1/2 cucchiaino di curcuma in polvere
un pizzico di sale
e via di seguito come sappiamo.
 

E nonostante la farcia alle patate fosse già abbondante, il buon Leppagorre  mi ha sussurrato, come al suo solito, un suadente e infido: - Ma poi, se non dovesse bastare?...
Maledetto...
- Tanto non volevi provare i culurgiones de casu? Su, va a aprendere della ricotta, e sbrigati che sto già fremendo!
Lo possino acciaccàllo!... Chissà se nei reparti psichiatrici hanno l'adsl... Maddeché!






Vabbè, per i culurgiones (o curcugiones, che dir si voglia) de casu la dose che ho trovato accettabile è:

200 g ricotta
100 g  pecorino
1 uovo
poche foglie di salvia sminuzzate.
Ovviamente da aumentare o diminuire a seconda delle necessità. Per quella quantità di sfoglia non volevo esagerare (pare vero...). Quindi stessa procedura dei culurgiones e stesso procedimento di cottura.




Ma... e questi che sono?...





Quelli lunghi sembrano dei fusi, e questi delle palline...
Ah, ecco: Iscazados e Cozzoneddos

Meno male che in limba sembra tutto decente e accettabile...
Beh, che dovevo fare, riempirmi la casa solo di spighe? Proviamo anche delle forme nuove, no?


- Ecco, adesso unisci i bordi della pasta a semicerchio pizzicandone i lembi, fai quindi fai assumere alla mezzaluna un aspetto tondeggiante, rotolandolo su se stesso con mooolta delicatezza su un velo di farina di semola, per formare una sfera... ecco... così! Bravo,  cozzoneddu...
Leppagorre non ha (come me, del resto) mezze misure...
- E ora prendi il dischetto di pasta... Sì, usa quella alla curcuma... Ecco, stessa mezzaluna di prima, però adesso premi le due estremità con delicatezza per chiuderlo bene . No, non a caramella ma un pochino più a punta. Ora rotolalo sull'asse di legno avanti e indietro per renderlo affusolato... così, bene! Guarda che bello: non sembra il fuso della Filonzana?
Sa Filonzana, ossia "la filatrice",  è una delle maschere della tradizione sarda, un personaggio inquietante. 



È una vecchia, tutta storta, intabarrata di nero e con una maschera anch'essa nera, come quella di mamuthones, dura e inespressiva...
La vecchia tiene in mano un fuso con della lana e forma con essa un filo, arrotolandolo abilmente, mentre si muove tra la gente del carnevale suscitando una sottile inquietudine...
Ricorda qualcosa, vero?
Si, la Parca, la divinità che forgia col filo delle nostre vite la sorte che ci attende.
È Cloto, Lachesi e Atropo tutte in una botta sola! È sa Filonzana...

È il simbolo di una presenza costante nella vita dell'uomo, da sempre, l'archetipo della nostra umana precarietà, della fragilità di questi poveri esseri che siamo, a dispetto della nostra ingiustificata baldanza...
A Carnevale è un uomo a rappresentarla, sarà perché alla donna è invece affidato il compito di "dare la vita"? 

Quando la maschera passa per il paese tenta, per celia, di entrare nelle case, venendone ogni volta scacciata, in una sorta di rito che esorcizza la paura della morte.
Vabbè, Leppagorre direbbe: Ajó, mano ai cozzoneddos e via in tavola!


 


Detto sardo del giorno:
Confida in totu, et fidadi de pagos. 
Confida in tutti e fidati di pochi.

Oggi ascoltiamo:
Bertas - Como Cheria
http://www.youtube.com/watch?v=bW7QkPEgDTY&feature=related

Ora vorrei l’oriente
e l’occidente vorrei
il piccolino seduto sulle spalle
ad annunciare le ali
alberi di mandorle fresche
formaggio dolce e olive salate
ora vorrei
che se ne vadano insieme
passero e falco al nido
che ogni Cristo lasci la croce
che rimanga l’estate
tanche di funghi selvatici e vigne
pane bianco e una bocca assetata
ora vorrei
fino a prosciugare il mare e il fiume
sentire che mi attraversano
e una voce che canti lontano
ora vorrei
e una mano che stringa la mano
ora vorrei

martedì 12 giugno 2012

Cischecco Uòtz Amèrican

Com’è la cucina d’oltre Atlantico?
Noi italiani, cresciuti non solo a pranzi domenicali fatti rigorosamente a mano e preparati fin dalle otto del mattino (dico solo una cosa: ragù! Ecco…) ma anche con la cura quotidiana per il pasto più semplice (anche un veloce piatto di pasta da noi si fa in un certo modo, e viene sempre bene) valutare la cucina di un paese che non vanta in questo una cultura articolata come la nostra è spesso imbarazzante.
Si rischia di cader nel provincialismo, nel lasagnacentrismo, in quella spocchia fastidiosa che fa dire, guardandoli cucinare (anche in tv): “Ehi, no! Così non va! Verrà una ciofeca!”
Invece loro, imperterriti, mischiano, intrugliano e provano. Almeno provano.
Noi italiani, c’è da dirlo, in cucina siamo conservatori: è forse una delle cose in cui siamo intimamente sicuri di noi stessi. Al sugo di pomodoro e basilico non metteremmo mai lo yogurt… spero.
… No, Leppagorre, non mi guardare in quel modo: questa nemmeno sotto tortura te la avvallo…
Certo, vedendo il boss delle torte che prepara le lasagne ci viene l’istinto di evocare lo spirito del buon Pellegrino e fargli tirare i piedi la notte, però è simpatico e lo lasciamo fare… tanto poi se le magna lui e le sue belle sorelle buzzicone!
Di fronte alle torte di marshmallow (c’è un negozietto a NY che vende solo questo…) c’è solo da dire una cosa: oh my ghost! Poi, senza nemmeno andare tanto lontano, con la pazienza e l’indulgenza che bisogna avere per chi, poverino, non ci arriva, si scoprono cose di cui non avremmo sospettato la bontà, la semplicità, la genialità.
Ecco, il cheesecake è qualcosa che viene da lontano ma il cui sapore ci parla di biscotti morbidi di burro, di uno strato di spugnosa pannosità, di un’agra o pastosa copertura.
Ci parla di cose che conosciamo già, in una lingua diversa.
Il cheesecake ci fa fare pace con il cattivo gusto degli americani, con i loro eccessi, la cura smodata alla spettacolarità e alla forma piuttosto che alla sostanza.
Perché questa stupida paura di rischiare, di mischiarsi e perdersi nell’altro?…
Vale sempre la pena rischiare, provare e conoscersi. E riconoscersi...
Assaggiando questa delizia diciamo loro, con la parte più intima del cervello e della coratella, titillata da tanta bontà: thank you guys…

Fondo
200 g     biscotti Digestive o similari
100 g     burro
Sbriciolare i biscotti, meglio ancora tritarli, unire il burro fuso e distribuire sul fondo di una teglia, meglio se con cerniera. Far rapprendere in frigo per almeno 15 minuti.
Corpo
500 g    formaggio cremoso tipo Philadelphia
200 ml  panna (anche da cucina va bene)
150 g    yogurt (un vasetto)
150 g    zucchero
3           uova
Questo è il plain cheesecake, quello liscio e basico, ma capite bene che potete avere una scelta smisurata sugli aromi e i sapori da aggiungere a questo dolce: cioccolato, caffè, frutta, menta, nocciole, caramello… chi più ne ha più ne metta.
Vedremo come, qui c’è Leppagorre che già scalpita…
Lavorare le uova con lo zucchero, aggiungere lo yogurt, la panna, il formaggio.
Preparare il bordo della teglia con delle strisce di carta forno inumidito che farete aderire alle pareti prima di versare il composto sul fondo di biscotti.
Una teglia con cerniera da 26 cm di diametro andrà bene, sennó anche più piccola, l’importante è che allora abbia  i bordi alti…Ah, Monsieur Lapalisse…

Cuocere a 180° per 50 minuti almeno. Sformare una volta che sia ben freddo



Topping
O “er sopra” come diciamo qui.
Potete sbizzarrirvi anche qui: o solo frutta fresca, o una crema o una salsa, o una coulise…
Per una coulise di frutti di bosco preparare un bello sciroppo di acqua e zucchero (50 ml e 50 g, fatto bollire per circa 3 minuti) a cui vanno aggiunti 250, 300 g di frutti di bosco (usate pure quelli surgelati, lo so che annate de prescia…).


Per una salsa al limone fate bollire il succo filtrato di 3 limoni a cui avrete aggiunto 50 g di zucchero e la buccia grattugiata di uno di loro, unire un bicchiere d’acqua fredda (150 ml ca) in cui avrete sciolto un cucchiaino di farina. Fare bollire mescolando per far addensare un po’, quel tanto che abbia raggiunto una consistenza gelatinosa.


Mh… sennó?…
Preparate il solito sciroppo di acqua e zucchero (50 ml e 50 g, fatto bollire per circa 3 minuti) in cui sciglierete 50 g di cioccolato fondente. Mescolate bene per amalgamare il tutto.
E mo’ viè er bello
Prendete la casseruola con salsa al limone e quella con la salsa al cioccolato.
Guardatele attentamente: vedete come già si vogliono bene?
Sarebbe un crimine non provare a farli conoscere, unire, far loro provare l’ebrezza dell’amplesso…
Quando Leppagorre chiama rispondo quasi sempre, come la bava dei cani di Pavlov al suono del campanello…
Uniamo a mano a mano la salsa al limone in quella al cioccolato.
Dico questo perché la dose tra le due varia a seconda dei gusti, che preferiate prevalga la pastosità del cioccolato o l’agro del limone. A gusto mio una buona proporzione è 2/3 salsa al cioccolato e 1/3 salsa al limone. Ma, si sa: de gustibus



Detto inglese del giorno:
The early bird catches the worm

Chi dorme non piglia pesci

Oggi ascoltiamo:
Tracy Chapman - Baby can I hold you

http://www.youtube.com/watch?v=kjRo_CHSdt0

P.S. Ah, lo sapete che Checco in romanesco è il diminutivo di Francesco, vero? Do sempre un po' tutto per scontato. 

domenica 10 giugno 2012

Culurgiones a go-go

Ecco, lo sapevo: decido di preparare qualcosa e finisce che cado inevitabilmente nel ridicolo.
Non per quello che faccio, ci mancherebbe, quanto per le quantità spropositate delle porzioni...
Secondo me sono la reincarnazione di qualche prigioniero fenicio morto di stenti (in un mondo dove chi si crede reincarnato tira in ballo principesse, cavalieri e nobili sarebbe una bella novità), altrimenti non si spiega come mai inizio con delle dosi che si moltiplicano inavvertitamente per due, tre, quattro...
- E quanti saremmo, oggi a pranzo?
- Due, Leppagorre, quanti sennó?... Che fai mi prendi in giro?...
- Io?...Nooo... .... ... Ahahahahahahahahahahahahahahahha......
Così ogni volta, anche senza il sarcasmo del mio demonietto interiore.
Vabbè, su, al lavoro, che è già tardi...
Avevo parlato già dei culurgiones in occasione della mia cenetta 
- Arièccolo con gli eufemismi... Tra un po' te prenneva un infarto de panza!...
Dunque, dicevo: avevo preparato i Gorgognoni, una versione rivisitata con ripieno di patate, gorgonzola e vongole. 
Stavolta sono andato sul classico e ho provato a fare questi deliziosi ravioli di patate che tutta la Sardegna conosce come colurione, culur(r)ione, culurgione, culurzone, culurizone, gulurzone, guruglione, gururione, culurgioni, culirgioni, culingioni, cruguxoi. (dal dizionario di Lingua Sarda di Massimo Pittau)
Ecco, così non si fa torto a nessun dialetto isolano. 
Ma se i modi per denominarli sono tanti, l'etimologia sembra incerta. Pare che derivi dal bizantino kollyrha, una sorta di pane rotondo lievitato oppure da kollyrhìon, un uccello, forse il tordo, chissà...  (sempre dal prezioso Pittau di cui sopra).
Fatto sta, mentre i linguisti ancora si accapigliano per capire da dove provenga questo nome curioso, le donne dell'isola da secoli hanno preparato questo delizioso raviolo dalla forma che ricorda una spiga.
Per quelli di patate le dosi sono... Leppagorre, smettila di ridere o ti infilo nello sgabuzzino, eh?...

Per la pasta:
300 g   farina di semola di grano duro
100 ml acqua (o giù di lì)
un pizzico di sale

Iniziare a preparare la pasta nel solito modo: farina a fontana, giù il sale e a mano a mano l'acqua, fino ad ottenere un composto lavorabile con le mani. E qui a tirare, stirare, tendere e battere, con tutta la tenace aggressività di cui siete capaci, fino ad ottenere una palla bella morbida, elastica e compatta, che non si attacchi più alle mani.
Mettetela a riposare per una mezz'oretta almeno in una ciotola coperta da un canovaccio inumidito e passate a preparare il ripieno.
Ecco, per il ripieno si possono avere due alternative (due?... mille!): o solo formaggio (i culurgiones de casu) o patate, formaggio e menta (i culurgiones de patata).
Non volendo usare la menta la si può sostituire, come ho fatto io, con della salvia tritata.
I sardi non se ne adonteranno, vero?
Quindi:
1/2 kg patate
150 g  pecorino grattugiato
1 spicchio d'aglio 
1/4 bicchiere d'olio
qualche foglia di menta (o salvia...)
Lessare le patate con la buccia in acqua leggermente salata, quindi pelatele (ahio... ogni volta un tormento) e schiacciatele bene. Usate lo schiacciapatate, non esitate: ficcatecele dentro con tutta la buccia, premete e quindi gettate via la coccia... alé!
Fare soffriggere nell'olio l'aglio, quindi eliminatelo e fate raffreddare.
Alle patate ancota tiepide aggiungete il pecorino, l'olio e la menta sminuzzata.
Mescolate bene e aggiustate di sale.
Assaggiate sempre, non fidatevi mai del pecorino, è infido: sembra che non si senta e poi, in cottura rende il piatto salato. Il mio era non troppo salato e i culurgiones mi sono venuti un po' bambi, sciocchi... sciapi, insomma...
Stendete la pasta, ricavatene con un bicchiere o una tazza dei dischi che riempirete con un cucchiaino d'impasto e poi, tenendo con una mano la creatura, iniziate a unire i lembi del raviolo pizzicando prima da una parte e poi dall'altra, fino a chiuderlo completamente. Ci vuole più a dirlo che a farlo. Guardate qui. Sembra una spiga, vero?
Disponete quindi i culurgiones su una spianatoia infarinata o su una teglia foderata di carta forno:


A questo punto vi renderete conto che la dose che ho usato io (600 g di farina per 1 kg di patate) era un pochino spropositata... Avrete, poggiati in ogni dove mucchi, pacchi, cataste di culurgiones ( me ne sono venuti circa 50...). 
Che fare? 
Mangiare per tre giorni culurgiones tramutandovi in Merdùles feroci e insaziabili oppure disporli su un vassoietto di carta, coprirli con della carta forno e surgelarli.
Lessateli in acqua salata, badando a rimestarli spesso per non farli attaccare al fondo della pentola, e quando verranno felicemente  a galla sposateli a un bel sugo di pomodoro con o senza carne:





Ma anche con un burro e salvia non sfigurano mica:



A questo punto ve mettete a piedi pari, come si dice, e via, su, che se freddano!...

Detto sardo del giorno:
Sa faula bessit, o a tardu o a presse.

Ogni bugia si scopre, o presto o tardi.

Oggi ascoltiamo:
Istentales - Promissas

http://www.youtube.com/watch?v=GRKuQfDQg14